domenica 30 maggio 2010

Un colpo impossibile.


Sullo spiazzo polveroso davanti al ristorante della Strada Statale, quel pomeriggio, c’erano rimaste soltanto due o tre macchine parcheggiate: sicuramente una era del proprietario, le altre dei lavoranti impegnati a riassettare la cucina e la sala del locale. La giornata appariva sonnacchiosa, gli autotreni passavano via tirandosi dietro i loro forti ruggiti, e la strada stessa sembrava disinteressarsi di tutto in quell’inizio d’estate in cui ogni attività sembrava stancare più che in altri periodi.
L’uomo con la camicia azzurra era da solo, aveva fermato la sua vettura ad una certa distanza, si era avvicinato all’entrata camminando svelto e passando da un lato. Poi aveva dato un ultimo sguardo alla strada, al piazzale, a quel silenzio ronzante di motori e di velocità. Quando era entrato non c’era nessuno, aveva dato un’occhiata alla sala del ristorante, poi si era avvicinato alla cassa per vedere se c’erano i soldi. Alle sue spalle era subito arrivata una donna, probabilmente la proprietaria, aveva appena finito di dire ad alta voce qualcosa ridendo con chi stava nella stanza sul retro, poi aveva guardato quella camicia azzurra, quella faccia, e il suo sorriso le si era spento dietro a un sospetto, formando sulla sua faccia un’espressione identica ad un punto interrogativo. Quella donna era alta, solare, aveva un vestito chiaro scollato, le braccia nude fino alle spalle, all’uomo con la camicia quasi dispiaceva mostrare quella sua vecchia pistola e chiederle i soldi con quel semplice gesto, senza parlare, con espressione immutata.
La donna aveva subito cercato di dire qualcosa guardando come per istinto la porta e paralizzando i suoi movimenti, ma l’uomo le aveva imposto il silenzio e lei si era avvicinata alla cassa rassegnata a fare quello che le stavano chiedendo. La sua mente in un attimo aveva disegnato la scena seguente: un gesto inconsulto, il proiettile che parte, forse per sbaglio, la colpisce in pieno, lei che si accascia mentre il suo sangue le sporca il vestito, quel suo bel vestito chiaro per il quale in tanti alla fine del pranzo le avevano fatto dei complimenti quel giorno, subito prima di pagare i loro pranzi, forse sperando in uno sconto, o chissà.
Le venne da piangere per l’alzarsi improvviso della tensione che adesso era forte, reale, superiore a ciò che si sarebbe aspettata. Pensò quasi di cercare consolazione dall’uomo che le stava di fronte, come se il nemico in quell’attimo fosse soltanto quella pistola, e che il resto fosse una sofferenza di cui tutti non avevano colpa, la subivano e basta. Spinse tremando le mani in avanti, senza pensare, fece un passo, sfiorò con la mano la canna di quella pistola, quasi aspettandosi il colpo mortale che doveva trafiggerla, ma il suo nemico arretrò, forse sorpreso o preoccupato per quel gesto.
L’uomo con la camicia azzurra adesso era fermo, le indicava la cassa, e la donna aveva iniziato ad eseguire quegli ordini, ma non riusciva a fare a meno di piangere, come se tutta la sua vita avesse caricato un insieme incontrollabile di emozioni che adesso si scatenavano insieme, lasciandola preda di sentimenti contrastanti. Non c’erano molti soldi dentro al cassetto, lei li prese con la mano, li porse, guardò l’uomo negli occhi così come si guarda una persona amata, con un’espressione piena di amore, e lui, con la sua camicia azzurra, pur combattendo dentro di sé, non riuscì in nessun modo a restare freddo e indifferente a ciò che stava accadendo. Abbracciò la donna in un gesto spontaneo e incredibile, rimase così il tempo di un attimo, poi prese la porta ed uscì, lasciandole i soldi sopra ad un tavolo.

Bruno Magnolfi


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