lunedì 3 maggio 2010

Certe fotografie in bianco e nero.

            

            La sera della festa erano in sei, Antonio ricordava tutto perfettamente. Per loro non era un’occasione precisa, avevano soltanto deciso che quel sabato era il giorno giusto, c’era gente in giro, potevano mescolarsi agli altri e senza cattiveria ridere di loro. Fulvio era giunto per primo a casa di Loris, e loro due avevano deciso che sarebbero andati in un certo locale, un caffè in centro, un posto elegante con musica ovattata e persone serie sedute nei tavoli. Carlo e Federico, gli eterni inseparabili, erano arrivati assieme, come sempre. Alessandro si era fatto vivo per ultimo. Una volta al completo erano usciti di casa, si erano stretti dentro una macchina, e in tre avevano preso una discussione semiseria sulle questioni fondamentali del calcio, mentre gli altri sbuffavano. Federico aveva chiesto di smetterla, e così Loris si era messo a raccontare delle storielle. Poi erano giunti al locale, erano entrati, avevano bevuto qualcosa, avevano fatto una gran confusione fingendo disaccordi improbabili, tanto da farsi riprendere dal cameriere. Infine Fulvio aveva dichiarato di essere stufo di star lì, e appoggiato da Alessandro avevano deciso che era meglio andarsene a fare un bel giro, senza una meta precisa.
            La serata era andata avanti così, con Antonio e Federico pronti a parlare a voce alta di tutto e a prendersi in giro; gli altri ridevano e a tratti dicevano di smetterla, senza volerlo davvero. Più tardi, quando la notte aveva iniziato ad imporre maggiore rispetto, avevano proseguito con argomenti più personali, seduti nelle panchine di un giardinetto, quasi cercando con la serietà ritrovata di farsi perdonare le leggerezze precedenti. Era stato allora che Carlo aveva detto a tutti che da pochi giorni gli era stato diagnosticato un tumore, e che forse quella era l’ultima volta in cui lo avrebbero visto così. In un primo tempo questa cosa aveva lasciato gli altri perplessi, quasi senza parole. Erano amici da sempre, una batosta del genere era pesante. Poi Alessandro, con timidezza, aveva detto che forse era il caso di farsi un bel brindisi, piuttosto che lasciarsi andare a una tristezza fuori luogo, e così avevano fatto, raggiungendo un posto poco distante aperto per tutta la notte.
            Antonio si era portato una vecchia fotocamera tascabile con la pellicola in bianco e nero ed il flash, e con quella si erano fatti delle istantanee con le facce più buffe che erano riusciti a inventare, e infine, mentre albeggiava, quando si erano lasciati per andarsene ognuno a dormire nella propria casa, si erano abbracciati quasi piangendo, come se ognuno di loro portasse sopra di sé quasi un peso per quel cancro che intanto devastava il corpo di Carlo. All’improvviso non si erano mai sentiti così vicini, così attaccati alla vita come a un filo sottile del quale non restava che ringraziare per momenti del genere. Si sentivano patetici, ed avrebbero forse voluto evitare di essere così, ma non c’era altro modo di sentirsi, e quella sensazione che avevano sempre avuto di potersi permettere tutto in qualsiasi momento, risultava inevitabilmente incrinata da quella sera in avanti.
            Negli anni seguenti la vita fece il suo corso: ognuno di loro andò avanti per la sua strada, si videro ancora, naturalmente, si scambiarono ancora informazioni e pensieri, seguirono tutti il percorso medico di Carlo, ma alla fine di quel lungo periodo che seguì rimase soltanto quel gruppo di fotografie in bianco e nero, testimoni di qualcosa che era stato perduto, e che se anche da sole, quelle istantanee, non dicevano molto, alla fine però erano il segno tangibile di qualcosa che c’era stato davvero, e come non ricordarlo, incarnavano perfettamente il senso di una serata qualsiasi, un po’ assurda, quale ne possiamo trascorrere mille, ma che solo quella volta è speciale, perché non ce ne saranno altre così.


            Bruno Magnolfi

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