La sera
della festa erano in sei, Antonio ricordava tutto perfettamente. Per loro non
era un’occasione precisa, avevano soltanto deciso che quel sabato era il giorno
giusto, c’era gente in giro, potevano mescolarsi agli altri e senza cattiveria
ridere di loro. Fulvio era giunto per primo a casa di Loris, e loro due avevano
deciso che sarebbero andati in un certo locale, un caffè in centro, un posto
elegante con musica ovattata e persone serie sedute nei tavoli. Carlo e
Federico, gli eterni inseparabili, erano arrivati assieme, come sempre.
Alessandro si era fatto vivo per ultimo. Una volta al completo erano usciti di
casa, si erano stretti dentro una macchina, e in tre avevano preso una
discussione semiseria sulle questioni fondamentali del calcio, mentre gli altri
sbuffavano. Federico aveva chiesto di smetterla, e così Loris si era messo a
raccontare delle storielle. Poi erano giunti al locale, erano entrati, avevano
bevuto qualcosa, avevano fatto una gran confusione fingendo disaccordi
improbabili, tanto da farsi riprendere dal cameriere. Infine Fulvio aveva
dichiarato di essere stufo di star lì, e appoggiato da Alessandro avevano
deciso che era meglio andarsene a fare un bel giro, senza una meta precisa.
La serata
era andata avanti così, con Antonio e Federico pronti a parlare a voce alta di
tutto e a prendersi in giro; gli altri ridevano e a tratti dicevano di
smetterla, senza volerlo davvero. Più tardi, quando la notte aveva iniziato ad
imporre maggiore rispetto, avevano proseguito con argomenti più personali,
seduti nelle panchine di un giardinetto, quasi cercando con la serietà
ritrovata di farsi perdonare le leggerezze precedenti. Era stato allora che
Carlo aveva detto a tutti che da pochi giorni gli era stato diagnosticato un
tumore, e che forse quella era l’ultima volta in cui lo avrebbero visto così.
In un primo tempo questa cosa aveva lasciato gli altri perplessi, quasi senza
parole. Erano amici da sempre, una batosta del genere era pesante. Poi Alessandro,
con timidezza, aveva detto che forse era il caso di farsi un bel brindisi,
piuttosto che lasciarsi andare a una tristezza fuori luogo, e così avevano
fatto, raggiungendo un posto poco distante aperto per tutta la notte.
Antonio
si era portato una vecchia fotocamera tascabile con la pellicola in bianco e
nero ed il flash, e con quella si erano fatti delle istantanee con le facce più
buffe che erano riusciti a inventare, e infine, mentre albeggiava, quando si
erano lasciati per andarsene ognuno a dormire nella propria casa, si erano
abbracciati quasi piangendo, come se ognuno di loro portasse sopra di sé quasi
un peso per quel cancro che intanto devastava il corpo di Carlo. All’improvviso
non si erano mai sentiti così vicini, così attaccati alla vita come a un filo
sottile del quale non restava che ringraziare per momenti del genere. Si
sentivano patetici, ed avrebbero forse voluto evitare di essere così, ma non
c’era altro modo di sentirsi, e quella sensazione che avevano sempre avuto di
potersi permettere tutto in qualsiasi momento, risultava inevitabilmente
incrinata da quella sera in avanti.
Negli
anni seguenti la vita fece il suo corso: ognuno di loro andò avanti per la sua
strada, si videro ancora, naturalmente, si scambiarono ancora informazioni e
pensieri, seguirono tutti il percorso medico di Carlo, ma alla fine di quel
lungo periodo che seguì rimase soltanto quel gruppo di fotografie in bianco e
nero, testimoni di qualcosa che era stato perduto, e che se anche da sole,
quelle istantanee, non dicevano molto, alla fine però erano il segno tangibile
di qualcosa che c’era stato davvero, e come non ricordarlo, incarnavano
perfettamente il senso di una serata qualsiasi, un po’ assurda, quale ne
possiamo trascorrere mille, ma che solo quella volta è speciale, perché non ce
ne saranno altre così.
Bruno
Magnolfi
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