Un
uomo attraversa la strada. Cammina con calma, si guarda attorno diligentemente,
osserva tutti gli elementi capaci di attrarre la propria attenzione. L’uomo
sente il dovere di compiere ogni suo atto in maniera ponderata, che sia tenere
le mani sprofondate nelle tasche dell’impermeabile, o decidere il tragitto
migliore per tornarsene a casa. Sa benissimo dentro di sé che molte cose non
sono affatto come lui le vorrebbe, ma si sente impotente, anche se questo non è
il suo sentimento principale. Prosegue lungo la strada, vede altre persone che
si muovono, parlano, vanno incontro alle attività di ogni giorno, e forse
invidia qualcosa di loro, ma non saprebbe dire esattamente che cosa.
L’uomo avverte
un malessere che non può definire solitudine: si sente bene da solo, può
decidere e fare tutto quello che vuole, e questa gli pare una grande conquista.
Il suo problema sta nel fatto che a furia di pensare e di scegliere ogni cosa
per sé, ha paura di perdere il contatto con i modi di pensare degli altri, come
se a un certo punto, le sue maniere, le sue abitudini, potessero divergere
talmente tanto da quelle di tutti da lasciarlo isolato, un estraneo, un essere
goffo impossibilitato ad avere comportamenti sociali.
E’ un pezzo che
l’uomo riflette tutto questo, ma da pochissimo tempo ne prova anche paura, e
quasi per consolarsi certe volte immagina che anche gli altri vivano la sua
stessa sindrome, il suo medesimo terrore. Poi, ogni giorno, si cala in mezzo a
tutte quelle persone e cerca di fare esattamente quello che fanno quegli altri,
solo con lo sforzo aggiuntivo che ormai quei comportamenti deve pensarli, a lui
non vengono più naturali.
Così prosegue
camminando sul marciapiede, arriva vicino al condominio dove abita e rallenta,
ha notato che sta rincasando un suo vicino di casa, non vuole incontrarlo, non
ha voglia di scambiare nessuna frase fatta con lui, quindi si ferma, finge di
osservare qualcosa di lato, infine si muove, arriva davanti al portone, ma il
suo vicino è ancora lì, forse lo stava aspettando. Entrano assieme nel piccolo
ingresso, l’altro dice qualcosa ma l’uomo non sente, non capisce neppure quelle
parole che l’altro gli dice. Inizia a sudare, pensa che forse potrebbe anche
ucciderlo per non sentire più quella voce; infine abbassa la testa e prosegue,
sale le scale e arriva alla porta del suo appartamento.
Quando entra
respira, non gli interessa alcunché di quello che penserà il suo vicino, sa
solo che la prossima volta che esce di casa metterà un lungo coltello dentro
alla tasca del suo impermeabile: è sempre meglio essere prudenti quando si
esce, pensa tra sé.
Bruno
Magnolfi
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