“Certe
volte, Herbert, non ti riconosco…”, aveva detto la donna spegnendo nel
posacenere la sua sigaretta fumata solo a metà. Sedeva, evitando di appoggiarsi
allo schienale della sua sedia, ed evitava di guardarlo, come se cercasse di
stare distaccata da tutto. Lui aveva detto qualcosa, senza spiegarsi,
pronunciando sottovoce certe isolate parole che nel suo immaginario sembravano
vagare dentro alla stanza come piccoli pesci dentro un acquario. Lei aveva salito
da poco le scale di quel suo appartamento, perché era già da parecchio tempo
che le cose non andavano bene tra loro due, ma non sembrava ci fosse un motivo,
e quel pomeriggio si era spinta fino lì proprio per cercare di capire cosa
stesse accadendo, per tentare di afferrare qualcosa di più. Herbert poi era
rimasto in silenzio, aveva servito il caffè muovendo le mani lentamente, come
ritardando le cose, infine aveva detto: “Mi sento come estraneo a tutto; fuori
luogo…”.
Lei
allora si era alzata dalla sua sedia, era andata verso la finestra, attirata
dalla voglia che aveva di luce, di esterno, di osservare nuovamente quella
serie disordinata e affascinante di tetti intorno a quell’ultimo piano, e si
era accesa con modi nervosi un’altra delle sue sigarette. “Così tutto quello
che abbiamo cercato di costruire insieme in questi due anni, diventa una cosa
da niente, uno sfizio da togliersi tanto per fare qualcosa…”. Poi si era
voltata, come richiamata verso il tavolo da un elemento a cui fino allora non
avesse pensato. “Tu stai pensando di andartene, Herbert, di tornartene in
Francia, non è vero?”, disse con voce decisa e tagliente. Lui si sedette, fece
ruotare per gioco la tazzina del suo caffè senza rispondere, anche se pensava
che così la sua fosse quasi un’affermazione. Perciò, dopo una pausa infinita,
disse soltanto: “No, questo credo di no…”. Lei, di fronte a quella ulteriore
risposta indecisa, si sentì ribollire di rabbia, raccolse in un gesto la
borsetta e il giubbotto, e si mosse verso la porta di casa. Lui seppe dire
soltanto in modo poco convinto: “Aspetta…”, ma lei era già andata, chiudendo di
colpo la porta dietro di sé.
Lui
osservava quel caffè rimasto nelle tazzine a freddarsi, poi si alzò dalla sua
sedia in un lampo, per andare rapidamente alla finestra, ad affacciarsi, a
chiamarla, a cercare di dirle che non era così, che doveva ancora spiegarsi,
lei doveva comprendere, che c’erano molte altre cose che legavano in modo
inscindibile le loro vite; ma lei non c’era, forse era sgattaiolata dal retro,
e in fondo, era quasi meglio così. Chiuse la finestra, accostò le tendine,
tornò al suo tavolo a sorseggiare quel caffè diventato ormai tiepido, poi
attraversò il corridoio per raggiungere la camera, e vide di sfuggita la sua
immagine dentro allo specchio appeso sul muro. Non era lui, non vedeva più la
sua faccia. Qualcosa stava trasfigurando in quel suo viso, in quella
espressione, in quei tratti a cui era da sempre abituato: una variazione
profonda ma inesplicabile, un cambiamento incredibile, tanto da non
riconoscersi quasi, da dubitare che fosse ancora lui stesso, Herbert, il
medesimo che con grande entusiasmo era riuscito, negli anni appena trascorsi, a
costruirsi una vita, a sentirsi persona, ad avere una sua propria indole, lui
che una personalità vera, ad essere completamente sinceri, non l’aveva mai
avuta.
Bruno
Magnolfi
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