mercoledì 5 maggio 2010

Impossibilità quotidiane.

            

            La mattina dietro le tende appare livida, proprio come ieri. Ho trent’anni, mi sento già vecchia, senza entusiasmo, indosso qualcosa e giro per casa cercando gli oggetti che mi rassicurano. Il mio turno di lavoro al negozio è al pomeriggio, avrei tutta la mattina per me, ma non riesco a far niente. Inizio con fatica a riordinare la cucina, tanto per prendere tempo, poi decido di uscire. Fuori è anche peggio, mi gira la testa, sento in bocca il sapore del niente di ieri che mi attira verso di sé. Entro nel bar più vicino e prendo un caffè, un signore sfoglia un giornale sopra ad un tavolo. Mentre risalgo le scale del mio palazzo mi sembra che gli sforzi che faccio non servano a nulla: lascio passare le ore come se quella fosse l’unica cosa possibile.
Poi squilla il telefono, lo osservo per un attimo mentre continua a suonare e immagino le due o tre persone che potrebbero chiamarmi. Ho un attimo di incertezza, infine dico pronto, con una svogliatezza neutrale. Non mi sbagliavo, è la prima persona che avevo immaginato, e mi dice subito le cose che avevo creduto mi dicesse. Rispondo va bene, seguirò i tuoi consigli, non preoccuparti, adesso ho da fare un sacco di cose, sono quasi in ritardo. Riattacco.
In fondo lo so che ci sono persone che mi vogliono bene. Sono io che non voglio più bene a nessuno, neppure a me stessa. Oscillo tra le ore del giorno compiendo le operazioni di rito, senza entusiasmo, come un dovere, celebrando il normale processo del vivere, rinviando qualsiasi decisione. Alla fine mi trucco senza neppure guardarmi allo specchio, indosso lo stesso vestito di ieri, metto le scarpe col tacco e sono pronta: affronterò la giornata anche oggi, decido, forse sarà l’ultima volta in cui mi è apparso tutto così buio. Oppure no, ma che importa, non ci posso proprio far niente.


            Bruno Magnolfi

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