Tutto era
pronto, o quasi. Si era cercato di trovare un senso collettivo a quella mostra
di fotografie di tanti autori diversi, scattate in situazioni e momenti lontani
tra loro, ingrandite fino a raggiungere formati di dimensioni notevoli, anche
in qualche caso sgranate nei dettagli, oppure leggermente fuori fuoco. Si era
messa su una riunione, ma non si era trovato alcun compromesso, nonostante le
idee numerose, e alla fine le cose erano rimaste nell’aria, senza un qualcosa
di definitivo. Naturalmente i fotografi erano tutti dilettanti, amatori come quasi
sempre era in uso di dire, e a loro non si poteva chiedere molto, salvo
l’impegno, la passione, la voglia di mostrare il proprio punto di vista con la
macchina fotografica, nient’altro. I soggetti inquadrati erano tanti: facce,
espressioni, persone, paesaggi, oggetti grandi e piccoli di ogni tipo.
Qualcuno tra
coloro degli esterni che aveva osservato quello fotografie già installate,
aveva stabilito che qualcuna era migliore di altre, e gli autori ignorati
avevano subito iniziato a darne il merito alle luci migliori di cui si era
appropriato qualcuno, o delle posizioni più in vista su quelle pareti di cui si
era avvalso qualcun altro. La serata continuava a restare indecisa, si parlava
del mese di marzo, ma nessuno lo credeva possibile. I fotografi, andando ogni
sera alla Casa della Cultura per ricevere informazioni e sistemare qualcosa
delle loro creazioni, di fatto continuavano a spostare le fotografie
piazzandole più in angolo per dargli maggiore risalto, oppure al centro delle
pareti per gli stessi motivi; alcuni accostavano, per colore o soggetto, i
propri lavori a tutt’altre immagini, in modo da spiccare di più, modificando sempre
e comunque anche quella parte di mostra già a posto, continuando a variare le
cose e lamentandosi comunque di qualsiasi dettaglio, ma soprattutto dei
colleghi con cui dividevano gli spazi, e maggiormente di coloro che non avevano
ancora piazzato i loro lavori.
Qualcuno
addirittura aveva iniziato a sostituire le proprie fotografie, senza farne
troppa pubblicità, sostenendo con toni dimessi che vedendole lì assieme agli
altri lavori, quelle già esposte avevano assunto un senso diverso, tanto da
modificare il loro significato. Due o tre, addirittura, si erano messi,
macchina fotografica in mano, a scattare nuove istantanee, tanto per cercare di
portare altri lavori alla mostra e spiazzare tutti gli altri, magari proprio
all’ultimo momento. Infine il dirigente della Casa della Cultura aveva trovato
la data migliore per l’inaugurazione di quella mostra, visto che alla metà del
mese seguente un sabato coincideva con il giorno di nascita di quella
fondazione, ma quasi nessuno tra i fotografi trovò giusto sovrapporre le cose
tra loro.
Così si lasciò
passare anche quel giorno, e alcuni, anche per paura di vandali o ladri, iniziò
in silenzio a riportare a casa propria i lavori già esposti. Tutti gli altri,
nel giro di poche serate, fecero la medesima cosa, e alla fine la mostra, quasi
completata fino a pochi giorni più indietro, si svuotò velocemente di tutte le
fotografie già allestite, e gli autori impegnati in tutto quel periodo smisero
anche di parlare di ciò che avrebbero voluto mostrare. Il presidente della Casa
della Cultura alla fine definì una serata in cui fare una riunione per
accordarsi su tutto quello che era rimasto in sospeso, ma con grande meraviglia
di coloro che erano presenti a quella riunione, ci si dovette rendere conto che
di quegli artisti non si era presentato nessuno.
Bruno Magnolfi