I due
avevano concluso insieme il loro turno di lavoro, si erano infilati svelti
nelle cuccette, e si erano lavati e cambiati, proprio come se avessero avuto da
recarsi in qualche posto. La navigazione aveva ripreso da quella mattina, ci
sarebbe voluto quasi un mese per raggiungere il luogo di imbarco del greggio,
poi altri due per tornare indietro fino al terminal della raffineria. Si era
parlato per tutti quei giorni precedenti di preavvisi attendibili di burrasche,
per questo il comandante aveva deciso una sosta, e c’era chi aveva abbassato lo
sguardo a quelle notizie, ma in fondo era normale incontrare brutto tempo
andando per mare.
Erano in
trenta là sopra, tutti con anni di vita del genere dietro alle spalle, la
lingua comune un inglese storpiato composto di poche parole e molti gesti
esplicativi. Loro due invece si conoscevano da tanto, erano di Salerno, avevano
iniziato insieme ad andare per mare, spesso parlavano tra loro fingendo di
stare in vacanza, come se quei viaggi fossero di puro piacere. “Se domani c’è
il sole sto tutto il giorno in coperta ad abbronzarmi la schiena”, dicevano per
ridere. A volte giocavano a carte, per ingannare un’ora o anche due, e avevano
sempre con sé la loro scorta di libri da leggere.
Ma la cosa più
importante di tutte là sopra era quando a ciascuno nasceva la voglia di
scrivere una lettera. C’era tempo per scegliere bene le cose da dire, le parole
più adatte, le riflessioni meglio azzeccate, ma tutte le frasi non dovevano mai
perdere l’entusiasmo e il piacere di mettere sulla carta qualcosa che nasceva
d’impulso, come parlare, o sorridere di un gesto qualsiasi, o sentirsi felici
per una bella serata. Ognuno si chiudeva in se stesso per scrivere, ma l’atto
finale arrivava dopo avere già pensato tutte le cose, aver riflettuto su tutti
gli argomenti da dire, anche se alla fine non erano certo quelle le attività
più importanti.
Era ricevere
posta la cosa fondamentale; ritrovare, aprendo la busta di carta recapitata nel
porto dove facevano scalo, quel senso di attaccamento al proprio paese, quel
riuscire a sapere cosa era accaduto, anche se erano piccoli fatti di nessuna
importanza di cui parlava loro qualcuno della famiglia o un amico. Era come non
perdere quel filo sottile che li legava alla vita di tutti, piegati in
quell’inconfessato senso di sentirsi in esilio, lontani ma sempre vicini, con
la testa ingombra perennemente di pensieri e ricordi che li accompagnavano per
tutti quei mesi.
Il loro
scrivere al confronto era un atto minore, un chiedere per carità un aiuto per
superare tutto il viaggio. “Io sbarco”, spesso dicevano tra loro, come se solo
sapere che la scelta era facile, a portata di mano, li facesse star meglio.
Poi, dopo un breve riposo, ricominciava con regolarità il loro turno, e tutto
continuava a procedere, come la scia della nave che biancheggiava dietro di
loro, misurando la lontananza da tutto.
Bruno Magnolfi
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