giovedì 10 giugno 2010

La meccanica di un gesto qualsiasi.

            

            Generalmente indossava la camicia bianca col bottone del collo slacciato, con sopra una delle sue cravatte sottili, leggermente allentata, dalle sfumature scure, un po’ demodé. Prima di uscire si radeva con calma davanti allo specchio del bagno, concentrato su un’operazione da svolgere con la massima cura, fin nei dettagli, poi indossava uno dei tanti vestiti di cui era pieno il suo armadio. Usciva da casa tra le dieci e le undici, passava all’edicola dei giornali, salutava con un sorriso tutti coloro che lo conoscevano, poi passeggiava sul largo marciapiede del viale alberato, fermandosi a leggere per pochi minuti su qualche panchina. La prima sigaretta del giorno la fumava esattamente in quel momento, sotto al fresco degli alberi, aspirandone poche boccate.
I suoi capelli erano corti, ben pettinati con la riga a sinistra ed un ciuffetto sopra la fronte, la sua faccia era affilata, la carnagione del viso quasi scura, le piccole grinze d’espressione lasciavano immaginare una persona gioviale, simpatica, quasi leggera. Arrivava al caffè quando erano circa le dodici, dava sempre l’impressione di essere uscito da poco dall’ufficio o da una riunione importante, e di permettersi un aperitivo di fretta in quel locale dove conosceva quasi tutti. Scambiava qualche parola scherzosa, si faceva preparare un cocktail leggero, si sedeva ad un tavolino da solo, giusto per rileggere qualche titolo del suo giornale, e commentarlo qualche volta a voce alta, con gli altri presenti.
Normalmente quando usciva da lì andava direttamente in un ristorante che rimaneva vicino casa sua, e senza fretta si faceva servire un solo piatto, un primo o un secondo. Poi rientrava, giusto per farsi un caffè in solitudine nel suo appartamento, mentre si metteva tranquillo su una poltrona dopo aver tolto cravatta e camicia ed avere indossato un abbigliamento più comodo. Il resto della giornata seguiva più o meno lo stesso percorso, e la sua solitudine risultava comunque sempre piena di socialità. Difficile si lasciasse andare a qualcosa di diverso, si comportava così ormai da qualche anno, da quando era morto suo padre, e lui aveva lasciato il lavoro, ereditando alcuni appartamenti affittati che gli permettevano di vivere senza far niente di produttivo.
A volte si era posto il problema di come utilizzare tutto quel tempo libero, ma alla fine le cose più consone alla sua personalità erano quelle, aggiungendo qualche tiro al biliardo in tarda serata, o l’andare alle corse dei cavalli al pomeriggio della domenica. Non amava trattenersi a lungo in un posto o con qualche persona, stava bene solo spostandosi per raggiungere un locale o facendo un semplice gesto di saluto verso uno dei tanti conoscenti, il resto era qualcosa che restava al di fuori di sé, come se lui fosse pienamente cosciente di non riuscire veramente a far parte del mondo, ma soltanto di una piccola parte, quella scelta una volta per tutte, chiamandola vita, ma solo per una astrazione.

            Bruno Magnolfi


            

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