Il
pontile si allungava sul mare, starsene lì senza far niente era come scivolare
sul tempo. I pescatori se n’erano andati, qualche lento gabbiano incrociava
poco distante in una bava di vento da ponente. Anche la nave non c’era più
all’orizzonte, ormai da un giorno o anche due, ma aveva impresso così forte la
sua presenza in quella zona di mare, che ora pareva che una nebbiolina leggera
cercasse di colmare quel vuoto, e qualcosa ancora ci fosse, anche solo per un
puro meccanismo di fantasia. Era bello guardare quel punto d’infinito e
immaginarlo senza problemi: cattivi rapporti interpersonali, stupide liti,
oggetti insignificanti trattati come preziosità. L’esistenza del mondo ne stava
al di sopra, era evidente.
Un
uomo si era avvicinato con lentezza, lasciando scricchiolare le assi di legno
sotto ai suoi piedi. Aveva osservato il mare scuro in quel tramonto di sole,
aveva annusato l’aria come fanno solo i vecchi marinai, poi aveva abbassato la
testa ed era rimasto lì, appoggiato al corrimano, come sopra al ponte di una
nave. Poi, senza spostarsi, aveva tirato fuori dalla tasca un foglio di carta,
lo aveva tenuto per qualche momento tra le mani, e infine aveva permesso che la
brezza se lo portasse con sé sottovento, sfarfallando un po’ dentro l’aria, e
infine lasciando che la carta si adagiasse sopra le onde delicate dell’acqua.
Aveva
continuato ad osservare quel foglio, per tutto il tempo che ancora era riuscito
a vederne il chiarore, poi si era riscosso, e com’era venuto era andato. Quanto
passato c’era da superare, da chiudere, una volta per tutte. Quante scuse
ognuno di noi avrebbe dovuto presentare per qualcosa di non fatto, o non detto,
o per incomprensioni minori che avevano dettato le vicende come elementi di
prima grandezza. In fondo era quello un luogo giusto dove fare i conti con il
proprio vissuto, né terraferma né mare, al cospetto di un orizzonte infinito
solo qualche volta solcato da una nave scura e silenziosa, ma che adesso non
c’era, non ingombrava per niente la prospettiva.
Bruno
Magnolfi
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