Forse
dovrei proprio alzarmi da questa sedia, pensavo senza convinzione. Uscire,
prendere l’autobus, arrivare fino all’ufficio del lavoro, strappare dalla
macchinetta un foglietto con il numero e aspettare il mio turno per parlare con
un’impiegata. Si sa, andandoci spesso a chiedere qualcosa in quegli uffici,
magari fingendo di non aver capito la volta precedente, tentando di avere buoni
rapporti con quella gente, e di essere disposti ad andare avanti e indietro con
quei moduli da compilare, le domande da presentare, i documenti da aggiornare,
alla fine qualcosa loro riescono a trovarti. Sanno indirizzarti, darti delle
dritte, spiegarti come fare per presentarti bene a qualche colloquio. Però mi
chiedo, a che serve trovare un lavoro, rispettare degli orari, faticare tutto
il giorno dietro a cose di cui volentieri faccio a meno, avere rapporti
antipatici con qualcuno che ti indica come comportarti e poi ti tiene d’occhio
per vedere se rispondi agli incarichi che ti sono stati dati, se sei una
persona affidabile, e altre cose di quel genere?
Forse
dovrei proprio preparare un curriculum vitae, inserirci tutte le esperienze
della mia carriera lavorativa, magari pensate bene, messe in buona luce, qualcuna
anche inventata, come se fossi uno scienziato che si piega a cercare un
lavoretto per campare, ma il senso del ridicolo è superiore a qualsiasi
volontà, e rimandare è semplice, basta stare qui, occuparsi d’altro, restare
indifferenti a quanto è possibile fare, magari lasciare tutto ad un altro
momento, quando questa attività di cercarmi un vero e proprio lavoro sarà proprio
del tutto indispensabile.
Forse
è il mio carattere che non si lascia smuovere con facilità, probabilmente sono
le notizie diffuse nei telegiornali che certe volte ascolto con un orecchio
solo, e che non mi concedono grandi speranze per il mio futuro lavorativo,
tanto da lasciarmi immobile su questa sedia, prostrato a pensare ad altre cose,
gli amici, le ragazze, certi festini a base di birra e qualche pastiglia
sciolta in acqua tonica. In fondo non ho neanche vent’anni, avrò tutta la vita
per preoccuparmi del lavoro, di tutte quelle cose antipatiche in cui sono
infagottate quelle persone così simili ai miei genitori, che non parlano altro
che di soldi, di fine mese, di banche dove accumulare i loro miseri risparmi,
di tredicesime e stipendi, e ancora di spese che non possono permettersi, e del
calibro con cui misurare ogni cosa, come se tutto fosse quantificabile in
quattrini e ore di lavoro.
Forse dovrei
farmi un’idea più precisa sulla politica, le attività lavorative, i sindacati, i
contratti collettivi, tutte quelle cose enormemente distanti da ciò che mi
sembra importante davvero. In televisione intravedo gente ben vestita, che
finge di essere preoccupata di qualcosa, qualcosa che riguarda gli altri, e
spesso parlano in nome loro, quei loro che non includono chi parla, e li vedi
già abbronzati quando è ancora giugno, e nessuno tra coloro che mostrano lì la
propria faccia preoccupata, sembra aver mai fatto davvero qualcosa che non sia
per loro stessi.
Forse, in
fondo in fondo, potrei sollevarmi da questa sedia in qualsiasi momento, se ne
valesse davvero la pena, ma sono sicuro che a nessuno interessa veramente,
anzi, pare proprio che sia importante per tutti che io resti qui, a far parte
della schiera di chi non si preoccupa di nulla, e lascia che la vita scorra per
conto proprio, così che nessuno di noi che facciamo parte di questa generazione,
avrà mai niente da obiettare a coloro che sono abbronzati tutto l’anno: che
possiamo dire difatti: che hanno avuto fortuna, forse che vivono alle nostre
spalle, che sono stati bravi anche se spesso ci risultano un po’ odiosi, è tutto
vero, ma per questo è bene che rimangano lì, in televisione, che tanto non
potremo mai sopportarli come persone in carne ed ossa, la loro esistenza è
lontana dalle nostre giornate, ci separa da loro qualcosa grande quanto il mare.
Bruno Magnolfi
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