martedì 22 giugno 2010

Sala giochi Las Vegas

            

            La ragazza, seduta con le amiche vicino ai bowling elettronici della sala giochi, lo aveva guardato diverse volte. Inizialmente lui non ci aveva neppure fatto caso, o meglio, aveva subito pensato di essere probabilmente spettinato, o di avere qualcosa sulla faccia o nell’abbigliamento che avesse incuriosito quella ragazza che a dire la verità non aveva neppure mai visto, ma in seguito si era sentito al centro di una attenzione che pur stimolandolo lo aveva messo fortemente a disagio. Per dissimulare la sua sensazione si era messo a parlare con i suoi amici delle prime cose che gli erano passate per la testa, spostandosi, gesticolando, declamando per scherzo qualcosa a voce più alta del necessario, guardandosi attorno ed osservando a sua volta da quella parte. I loro sguardi si erano incontrati più volte, non c’era niente dettato dal caso, era evidente.
Gli era venuto diverse volte da ridere in modo nervoso, per un attimo si era sentito il centro del mondo, ma aveva immaginato la sua faccia con le guance arrossate, così si era gettato per pochi minuti tra le pagine di un giornalino dimenticato su un tavolo; quando era tornato a sollevare lo sguardo aveva visto con terrore che lei e le sue amiche se ne stavano andando. Allora si era alzato anche lui dalla sedia, mentre i suoi amici lo osservavano come aspettandosi qualche altra stranezza, ma era soltanto rimasto lì, in piedi, senza parole, ad osservare quel gruppo di amiche che andavano via, senza riuscire a distoglierne gli occhi.
La ragazza di prima era arrivata quasi in fondo alla sala, aveva calcolato il momento migliore restando leggermente più indietro rispetto alle altre, poi si era voltata, e lo aveva guardato di nuovo, questa volta senza lasciare alcun dubbio. Lui aveva chiuso la bocca per deglutire, poi si era sentito improvvisamente perduto. Aveva aspettato ancora un momento, che tutte fossero uscite dalla sala giochi, ed era stato in quel momento che si era precipitato dietro di loro, immaginandosi di trovarle sul marciapiede, di poter ancora salvare qualcosa di quella situazione. Gli altri non gli avevano chiesto niente, restando con le gambe sopra ai braccioli delle sedie di plastica a mostrare indolenza e a dirsi qualcosa di strascicato, senza interesse.
Nella sala giochi ci saranno state venti o trenta persone, tutte a gruppetti, nella ricerca difficile di divertirsi e di passare una buona serata anche se assomigliava a tutte le altre. Qualche ragazza là dentro si lasciava abbracciare, tanto non c’erano occhi indiscreti, e qualcuna faceva la stupida in modo molto superiore a ciò che sarebbe stato normale. Le luci rosse e blu delle macchinette elettroniche lampeggiavano dando un aspetto irreale alle cose, i suoni sintetici parevano uscire da un film vecchio passato di nuovo in televisione, visto già troppe volte. Fuori il paese lasciava che quella sottile immoralità che provavano certe volte i ragazzi, fosse quasi tutta racchiusa là dentro, in quella noiosa sala giochi, e tutti si sentivano in qualche modo tranquilli.
Lui era arrivato sul marciapiede di corsa, senza avere pensato a qualcosa da chiedere o da dire; si era slanciato fuori dalla porta dipinta di nero sperando di nuovo semplicemente di incontrare i suoi occhi, di provare ancora quella sensazione fortissima di cui era stato preda fino ad allora. Lei era lì, da sola, lo stava aspettando, adesso aveva un’espressione meno sfacciata, e anche le sue braccia, i suoi gesti, si notavano come maggiormente composti, più attenti a spiccare di meno. Gli dette un’occhiata furtiva mentre lui si accostava quasi senza più fiato, attese ancora un momento, poi disse: “Scusami, ti avevo scambiato per un’altra persona…”.


Bruno Magnolfi      

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