La
ragazza, seduta con le amiche vicino ai bowling elettronici della sala giochi,
lo aveva guardato diverse volte. Inizialmente lui non ci aveva neppure fatto
caso, o meglio, aveva subito pensato di essere probabilmente spettinato, o di
avere qualcosa sulla faccia o nell’abbigliamento che avesse incuriosito quella
ragazza che a dire la verità non aveva neppure mai visto, ma in seguito si era
sentito al centro di una attenzione che pur stimolandolo lo aveva messo fortemente
a disagio. Per dissimulare la sua sensazione si era messo a parlare con i suoi
amici delle prime cose che gli erano passate per la testa, spostandosi,
gesticolando, declamando per scherzo qualcosa a voce più alta del necessario,
guardandosi attorno ed osservando a sua volta da quella parte. I loro sguardi
si erano incontrati più volte, non c’era niente dettato dal caso, era evidente.
Gli era venuto
diverse volte da ridere in modo nervoso, per un attimo si era sentito il centro
del mondo, ma aveva immaginato la sua faccia con le guance arrossate, così si
era gettato per pochi minuti tra le pagine di un giornalino dimenticato su un
tavolo; quando era tornato a sollevare lo sguardo aveva visto con terrore che
lei e le sue amiche se ne stavano andando. Allora si era alzato anche lui dalla
sedia, mentre i suoi amici lo osservavano come aspettandosi qualche altra
stranezza, ma era soltanto rimasto lì, in piedi, senza parole, ad osservare
quel gruppo di amiche che andavano via, senza riuscire a distoglierne gli
occhi.
La ragazza di
prima era arrivata quasi in fondo alla sala, aveva calcolato il momento
migliore restando leggermente più indietro rispetto alle altre, poi si era
voltata, e lo aveva guardato di nuovo, questa volta senza lasciare alcun
dubbio. Lui aveva chiuso la bocca per deglutire, poi si era sentito
improvvisamente perduto. Aveva aspettato ancora un momento, che tutte fossero
uscite dalla sala giochi, ed era stato in quel momento che si era precipitato
dietro di loro, immaginandosi di trovarle sul marciapiede, di poter ancora
salvare qualcosa di quella situazione. Gli altri non gli avevano chiesto
niente, restando con le gambe sopra ai braccioli delle sedie di plastica a
mostrare indolenza e a dirsi qualcosa di strascicato, senza interesse.
Nella sala
giochi ci saranno state venti o trenta persone, tutte a gruppetti, nella
ricerca difficile di divertirsi e di passare una buona serata anche se
assomigliava a tutte le altre. Qualche ragazza là dentro si lasciava
abbracciare, tanto non c’erano occhi indiscreti, e qualcuna faceva la stupida
in modo molto superiore a ciò che sarebbe stato normale. Le luci rosse e blu
delle macchinette elettroniche lampeggiavano dando un aspetto irreale alle
cose, i suoni sintetici parevano uscire da un film vecchio passato di nuovo in
televisione, visto già troppe volte. Fuori il paese lasciava che quella sottile
immoralità che provavano certe volte i ragazzi, fosse quasi tutta racchiusa là
dentro, in quella noiosa sala giochi, e tutti si sentivano in qualche modo tranquilli.
Lui era
arrivato sul marciapiede di corsa, senza avere pensato a qualcosa da chiedere o
da dire; si era slanciato fuori dalla porta dipinta di nero sperando di nuovo
semplicemente di incontrare i suoi occhi, di provare ancora quella sensazione fortissima
di cui era stato preda fino ad allora. Lei era lì, da sola, lo stava
aspettando, adesso aveva un’espressione meno sfacciata, e anche le sue braccia,
i suoi gesti, si notavano come maggiormente composti, più attenti a spiccare di
meno. Gli dette un’occhiata furtiva mentre lui si accostava quasi senza più
fiato, attese ancora un momento, poi disse: “Scusami, ti avevo scambiato per
un’altra persona…”.
Bruno
Magnolfi
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