Certe
volte chiudevo gli occhi, per pochi istanti, come per pensare meglio qualcosa.
Tante figurine silenziose iniziavano spesso a muoversi davanti a me, forse
incoraggiate da quella penombra crepuscolare. Poi tutto in un attimo tornava ad
essere il mondo reale di sempre, bastava un piccolo rumore, un disincanto
qualsiasi, ed io bambino correvo a cercare in altri luoghi quei personaggi che
affioravano così facilmente da sotto alle palpebre, come in un gioco di strano
prestigio,di cui non potevo dar notizia a nessuno.
Certe mattine,
nel bagno, lavavo il viso con acqua corrente, e sentivo sotto ai polpastrelli
delle mie dita, quegli occhi che riuscivano a scorgere qualcosa che non sapevo
neanche io cosa fosse, quello spazio scenico di legno, rialzato rispetto alla
quota del pavimento di tutti, e sopra in continuo movimento quelle figurine di
persone vestite ora come personaggi del circo, ora come cittadini di un’epoca
antica, ora come domestici animali umanizzati, quasi come dentro ad una favola.
Mi sentivo ricco di qualcosa che, ne ero sicuro, gli altri non potevano assolutamente neppure
immaginarsi, ed il mio straordinario mondo interiore pareva vivere in perfetta simbiosi
con la realtà di ogni giorno.
Crebbi, e
la mia malattia iniziò a manifestarsi sempre più spesso, con attacchi violenti
di tosse che qualche volta non lasciavano scampo, lasciandomi senza fiato per
giorni ad osservare lo scuotere del capo dei tanti dottori chiamati dai miei
genitori. Lottavo, non volevo rinchiudermi nella stanza dei sogni assieme alle
mie figurine in movimento perenne, pur con quanto mi attraesse quel mondo, ma
fu solo in un giorno qualsiasi che tutto d’improvviso parve cambiare.
Le figurine quella volta
restavano ferme sopra quel tavolato, per la prima volta si erano tutte voltate
a guardarmi, ed una di loro aveva preso a parlare, con voce bassa, appena
percettibile: vieni da noi, aveva detto, è questo tutto ciò che ci aspettiamo
da te…; ma io, pur con la grande dolcezza che mi ispiravano quelle parole, non
volli ascoltare: aprii gli occhi e decisi che era ora di guarire, se non altro
per imparare a destreggiarmi con loro, diventare il direttore, il regista di
quelle figurine, colui che avrebbe assegnato a ciascuna di loro una parte vera
nello spettacolo, e ne avrebbe diretto le scene; era questo il mio compito,
adesso ne era sicuro, tutto il resto poteva attendere.
Bruno Magnolfi
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