La donna
era entrata in ospedale all’ora del passo, quando la gente affollava i corridoi
e le sale da conversazione. Aveva salito le scale evitando gli ascensori, poi
era arrivata al reparto di medicina generale, soffermandosi ad osservare le
persone. Non aveva chiesto niente, aveva tirato fuori dalla sua borsetta un
piccolo foglio con su scritto qualcosa, e con quello aveva cominciato a girare
lungo le camere, lasciandosi sfiorare da infermieri e personale medico. Il suo
abbigliamento era dimesso, lo sguardo triste, quasi spaurito.
Lentamente
aveva percorso tutti i corridoi che si era trovata davanti, era andata vicino a
degli ammalati, qualcuno tra i visitatori l’aveva guardata duramente; poi si
era soffermata presso una grande vetrata da cui si dominava l’enorme parcheggio
delle auto sottostanti. La donna aveva cercato di guardare lontano, oltre le
case, dove qualche profilo di collina verdeggiava nel chiarore del sole. Le era
parsa bella quella campagna, le faceva venire a mente quando era piccola e
qualche volta l’avevano portata sui prati. Le venne da piangere, senza un vero
motivo, forse proprio perché non trovava neppure un motivo per essere lì, da
sola, senza nessuno di cui preoccuparsi, come sembrava facessero gli altri;
tirò fuori il suo fazzoletto e si soffiò il naso, come se la sua condizione
potesse risolversi così.
Qualcuno,
una signora forse, le toccò il braccio, come a cercare di darle una
consolazione, ma lei si sentì quasi scoperta, perciò si girò di scatto e
riprese velocemente a camminare, senza più voltarsi. Vagò ancora per i
corridoi, infine trovò casualmente le scale e raggiunse l’uscita. Una sirena
lontana indicava l’arrivo di un caso urgente al pronto soccorso, ma lei non ci
badò, raggiunse la fermata degli autobus e attese con gli altri l’arrivo del
mezzo pubblico.
Sono andata
all’ospedale, raccontò alla casa protetta appena rientrata dalla sua fuga,
sarei rimasta là dentro, come gli altri, ma c’era troppa gente, tutti
chiedevano qualcosa, non riuscivano neppure a rimanere un attimo zitti, in
silenzio, a pensare le cose. Non mi piace quel posto, bisogna andar lì solo se
sei ammalato o se hai qualcuno a cui fare visita, altrimenti le persone ti
chiedono che cosa stai facendo e tu facilmente perdi l’orientamento e persino
il significato di tutti i tuoi gesti.
La gente è cattiva, neppure lo sa, però si
comporta come se tu fossi diverso da tutti. Non voglio sentirmi diversa, ma non
mi va di andare in mezzo alla gente e sentire che gli altri ti guardano, che
hanno voglia di sapere tutto di te, e se non sei come tutti allora non ti
vogliono più, e ti dicono di tornartene a casa, di non farti vedere ancora in
giro da sola, altrimenti prenderanno provvedimenti più seri. Resterò qui, insieme
a voi, d’ora in avanti, non perché lo volete, ma perché sono io che non posso
fare a meno di voi. Però non pensate di aver vinto: tornerò in quell’ospedale,
dimostrerò a tutti che anch’io riesco a preoccuparmi degli altri, che anch’io
sono capace di far visita agli ammalati; per generosità, però, non per dovere.
Bruno Magnolfi
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