Anche questa notte è passata, come
ogni notte, ho pensato svegliandomi. Forse ho sognato qualcosa, ma non lo
ricordo, l’importante, anche se non proprio per me, è che i miei occhi si siano
ancora aperti stamani, che il mio cuore batta, che io sia ancora vivo, forse
questo è già un risultato, oppure un danno, non so. La malattia procede, lo
sento, mi lavora nell’intimo poco per volta, e mi lascia sconfitto per tutti i
mesi che restano al mio povero corpo, un anno diciamo, forse due, chi lo sa.
L’infermiera del mattino si è occupata di me, mi ha sollevato, ha adempiuto ai
suoi compiti, forse ha detto qualcosa. Che importa, lo sa che non posso
risponderle, ma non sa che queste minuzie, questi dettagli sottilissimi sono
tutto quello che resta per me, di ogni mia metodica giornata priva della mia
volontà.
Ho avuto dei
sentimenti, penso, ho vissuto anche io per qualcosa, ma adesso a che serve
pensarci: ruoto gli occhi, è l’unica cosa che mi riesce ancora di fare, e
osservo quel piccolo spicchio di mondo che mi passa davanti. Resisto, non lo so
neppure io per quale motivo, forse perché non ho scelta. L’infermiera mi ha
cambiato, mi ha vestito, poi, con tutte la tecnologia che ha a disposizione mi
ha sistemato sulla mia sedia automatica, mi ha piazzato in una zona dove non
ingombrassi, e ha portato avanti il suo penoso lavoro, collegando la macchina,
le flebo, il resto delle cose che mi tengono qui.
Poi mi ha spinto lungo il corridoio e
all’improvviso siamo usciti all’esterno, su un piccolo prato accarezzato dal
vento di questo mattino, dove resterò qualche tempo, un’ora, forse due, non lo
so, a lasciare che il sole giri ancora attorno a quegli alberi, e che qualcuno
passi di qui, che mi osservi, che capisca quanto la vita sia fatta di tante
cose diverse, qualcuna più fortunata, altre meno.
Alcuni si avvicinano, dicono
qualcosa, io ruoto gli occhi, capisco che vogliono essere carini, che intendono
darmi la loro solidarietà. Ma non ha alcuna importanza, sono qui, immobile, in
questa sedia automatica, e ripenso alle cose che ho fatto e soprattutto a
quelle che avrei avuto voglia di fare: forse è un calvario il mio, penseranno,
ma non hanno capito che è vita anche questa, dentro a questa gabbia infernale,
non c’è bisogno di alcuna pietà, sono qui, anche se non servo più a niente.
Bruno Magnolfi
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