sabato 28 agosto 2010

Finalmente a mio agio.

            

            Andiamo, aveva detto Lorenzo senza permettere repliche. Così erano scesi dall’auto, anche se Fabrizio, suo fratello minore, non aveva ben capito verso dove stessero andando. Avevano percorso qualche metro sul marciapiede, senza che nessuno dei due avesse più detto nulla, e poi erano giunti davanti a un portone, Lorenzo aveva fatto suonare brevemente il campanello di fianco e qualcuno all’interno aveva fatto scattare l’apertura automatica. Dentro c’era poca luce, il corridoio era ampio e lungo, in fondo c’erano delle finestre coperte da tende pesanti, e sui lati si vedevano alcune porte, tutte chiuse. Fabrizio avrebbe voluto dire qualcosa, ma restava in silenzio aspettando una spiegazione da Lorenzo, o dagli abitanti di quella strana casa.
            Sopraggiunse da qualche parte una breve risata, come unico scampolo di vita, e Lorenzo ebbe un moto represso, come di chi pensa sia il caso di andarsene. Doveva essere quello, come gli avevano indicato dei conoscenti, un luogo dove alcuni disturbi della personalità, di cui soffriva da tempo suo fratello, si curavano con l’ausilio di certe discipline orientali. Lui lo aveva detto a Fabrizio, sofferente da sempre di depressione, che senza impegno un giorno a l’altro lo avrebbe portato in un posto del genere, ma non lo aveva più ripetuto, immaginando che Fabrizio avrebbe mosso delle difficoltà o fatto resistenza. Ma lui stesso si sentiva pentito adesso di averlo trascinato sin lì: gli pareva un posto completamente diverso da quello che gli avevano detto, non c’era niente che gli desse un barlume di fiducia.
            Si aprì lentamente una porta, senza rumori, e un uomo uscì per guardarli. Poi una voce femminile all’interno disse di entrare, e Lorenzo, tirando Fabrizio per un braccio, si fece coraggio oltrepassando la soglia. Si sedettero ambedue davanti ad una piccolo scrittoio di legno. Le luci e i colori dentro la stanza apparivano ovattati, lo sguardo della donna era pungente, ma i suoi modi apparivano calmi e rassicuranti.
            Si volse subito verso Fabrizio, gli chiese il nome, alcuni dati generici, qual’erano le prime cose che pensava al mattino dopo il risveglio, se ricordava i suoi sogni, cos’era che gli faceva maggiormente paura, e altre cose del genere. Poi, senza attendere neppure il completamento delle risposte, gli chiese se fosse d’accordo a proseguire la conversazione senza la presenza di suo fratello.
            Da solo, Fabrizio, davanti a quella donna curiosa, si sentiva maggiormente a suo agio, e la conversazione proseguiva in maniera più sciolta e quasi piacevole. Ad un tratto lei gli fece annusare un liquido contenuto in un piccolo vaso, gli mostrò alcuni disegni incomprensibili chiedendo che cosa mostrassero, si alzò dalla sua sedia andando dietro le spalle di Fabrizio e toccandogli ora il collo, ora la nuca, ora la zona centrale della spina dorsale.
            Lui continuava a parlare, ma quasi in modo meccanico, senza neppure conoscere bene l’argomento delle sue risposte, ma come se all’improvviso volesse spiegare tutto di ciò che pensava: lei gli chiese ancora qualcosa, e lui proseguì, senza rendersi conto che la donna intanto era uscita in silenzio, aveva osservato Lorenzo mentre stava fumando nervosamente una sigaretta nel corridoio, poi era tornata al suo posto, dietro la piccola scrivania. Gli disse che per adesso bastava, poteva tornare il giorno seguente, da solo, e che uscendo non doveva spiegare al fratello troppe cose di quello che là dentro si  erano detti.
            Quando Fabrizio e Lorenzo furono di nuovo sul marciapiede e la porta fu chiusa, quest’ultimo disse subito che non gli era piaciuto niente di quello che era successo: Lorenzo lo fece parlare, senza interromperlo e senza aggiungere niente; poi gli spiegò che lui invece si sentiva già meglio, anche se non sapeva spiegarsi il perché, e che uno dei giorni seguenti sarebbe tornato dalla donna, ma da solo, come lei aveva chiesto, e che avrebbe cercato di capire cos’era che in quel posto così insolito, così diverso da tutti quelli dove erano stati insieme in passato, lo aveva messo così bene a suo agio.


            Bruno Magnolfi

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