Dalla mia finestra guardo il mare.
Una distesa piatta e azzurra, luccicante sotto al sole; se mi allontano dalla
finestra della mia stanza sembra che il mare voglia entrare dentro, portandosi
la sabbia, la salsedine, il suono metodico della risacca, tutto insieme come in
un richiamo irresistibile, adagiato sopra questo vento di brezza dolce e
fresca. Ieri invece era scirocco, e ha scosso a lungo la mia tenda: entrava a
folate con il suo profumo ineguagliabile, e accarezzava i mobili lucidi di
vernice trasparente, come le barche a vela di una volta, di legno marino, con
il fasciame ricco di venature iridescenti.
Mi sono guardata nello specchio sopra
al cassettone, ma non ho visto niente, o meglio, niente di diverso dal solito.
Sono tornata ad osservare il mare invece, ed ho visto serpeggiare lunghe
strisce composte da deboli raffiche di vento di terra e da timide correnti di
superficie, e mi sono sentita portare via, di nuovo, come se solo quella vista
custodisse la capacità di trascinarmi altrove, ogni volta.
Ho pensato che avrei dovuto
affrontare la realtà, chiarire tutto, ma il mare ancora una volta mi mostrava
la via degli istinti, dell’imperscrutabile, che pareva come se dicesse: lascia
che sia, niente è definito, il tuo stesso percorso indica la direzione, ogni
altra cosa sarebbe soltanto una forzatura.
Ho chiuso la finestra, sono scesa per
le scale senza incontrare nessuno, ed in fretta ho raggiunto l’arenile. Sergio,
il barista dello stabilimento balneare mi ha vista, mi ha sorriso, e senza
dirmi niente ha preparato il mio caffè, come per un’intesa antica che non ha
bisogno di parole. Mi sono sentita bene, e quando sono tornata a vedere la mia
immagine nello specchio dietro al bancone del bar, ho visto di nuovo i miei
capelli biondi, e mi sono sentita ricca di qualcosa che nessuno sarebbe mai
stato in grado di comprendere.
Bruno Magnolfi
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