La confusione di gente che saliva e
scendeva dai treni era notevole a quell’ora del mattino. L’uomo era uscito
dalla stazione ferroviaria quasi con un senso di liberazione dopo aver
attraversato buona parte di quell’edificio gremito ed essersi affacciato su
quella grande piazza dominata dall’orologio e dalla bella giornata di sole.
Aveva percorso pochi passi, quindi aveva rallentato il cammino come per
riflettere meglio, poi si era fermato,
decisamente perplesso.
Il traffico di auto era sostenuto lungo i viali che si
dipartivano poco lontano da lì, e la fila di taxi in attesa di clienti era
notevole. Tutto lì intorno pareva in continuo movimento, come una macchina
enorme in cui ogni ingranaggio dava il suo apporto a tutto l’insieme. Lui si
sentiva stonato, estraneo a tutta la giostra che ruotava là attorno.
L’uomo aveva voltato lo sguardo verso la stazione
ferroviaria, si era soffermato di nuovo ad osservare tutta la piazza, poi si
era guardato le mani, il giornale che aveva letto durante il tragitto seduto
dentro allo scompartimento, la piccola borsa per documenti che teneva sotto al
suo braccio. Aveva pensato, aveva continuato con tutte le sue forze a cercare
di pensare ancora di più, ma una sorta di panico sembrava volergli salire da
dentro, senza alcuna possibilità di scampo. Non ricordava più dov’era diretto,
perché avesse preso il treno quella mattina, in quale città si trovasse,
niente.
Vide un
caffè e vi entrò; si sedette ad un tavolino e con modi nervosi aprì la sua
borsa. Dentro c’erano soltanto dei moduli relativi alla dichiarazione dei
redditi. Lesse il suo nome e lo riconobbe, alcune altre notizie gli parvero
veritiere, ma non confermate. Arrivò il cameriere che non fece caso alla sua
fronte imperlata di sudore, gli servì in fretta il caffè e sparì tra i
tavolini. Trovò nella tasca il suo portafogli ed un documento, seppe così la
città da cui proveniva, ed un nome sulla facciata della stazione gli disse dove
si stava trovando.
Si fece
servire un cognac doppio per cercare di smuovere qualcosa dentro di sé, poi si
vergognò dello sguardo del cameriere, così bevve, pagò in fretta ed uscì dal
locale. Quei timidi tentativi non avevano sortito alcun risultato, così
lentamente si incamminò di nuovo verso la stazione ferroviaria.
Barcollò con
evidenza mentre camminava quasi senza motivo, qualcuno lo spinse e poco mancò
che non cadesse per terra; si accorse con terrore di aver lasciato al caffè il
suo portafogli con il documento, tornò indietro di fretta, ma ormai non
ricordava più neanche se poco prima era andato a destra oppure a sinistra. Gli
venne quasi da ridere nel pieno marasma di cui era preda, poi raggiunse la sala
d’attesa e si mise seduto.
Chiuse gli
occhi fingendo di dormire, ma il frastuono delle persone che andavano e
venivano proseguiva ininterrotto, così si alzò per andare lungo un marciapiede
a fianco di un binario qualsiasi, e continuò a camminare su e giù fino a quando
non arrivò il primo treno. Attese che si aprissero gli sportelli e con noncuranza
si mescolò al gruppo delle persone che scendevano, andando con decisione
assieme a loro fino all’uscita dalla stazione. In quel momento ricordò
perfettamente ogni cosa, ed il suo malessere gli parve una cosa da sciocchi,
una stupidaggine che poteva accadere, da non raccontare neppure.
Bruno
Magnolfi
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