L’attesa
lascia il corpo spossato, stanco, sfibrato nello sforzo di ascoltare il
silenzio della notte; o magari i segni inequivocabili del giorno, della luce
sfavillante, della vita che procede e cambia i colori e i punti di vista,
trasformando spesso ogni pensiero senza che se ne riesca a comprendere né il
senso né il motivo. Si attende l’alba, poi la sera, si fa una passeggiata senza
pensieri, poi un amico che dice cose divertenti, che spazzino via ogni amarezza
lasciandoci almeno una flebile speranza.
Ci si sente
soli, certe volte, attenti ad ogni piccolo rumore che ci indichi un elemento
nuovo, che ci prospetti una diversità, un pericolo, qualcosa magari da cui
fuggire in fretta. Si attende che il destino si compia, senza sapere quali
differenze ci si offrano in ogni attimo che giunge. L’attesa: che una qualsiasi
novità ci privi di tutto, forse; o di riuscire a stare meglio di così, come
l’arrivo di un’eventualità sperata, quasi meritata.
L’uomo urla
per strada la sua angoscia, qualcuno accorre, altri dicono che sono gesti
assolutamente privi di significato, degni di persone che hanno perso del tutto
l’equilibrio; eppure l’uomo si dispera solo per quell’attimo trascorso, quello
di tutti, ma anche quello che nel suo caso ha esaurito ogni sua speranza,
qualsiasi possibilità riposta in tutto il suo futuro, quello che ormai, nel
gioco impalpabile di un presente che addirittura fugge per ognuno tra le
proprie mani, è diventato in un unico momento solo passato.
Bruno
Magnolfi
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