La procedura indicava una serie di
domande alle quali era doveroso rispondere correttamente. Si entrava dal grande
portone in cima alla scalinata in pietra dopo essersi informati in modo
esaustivo su ciò che era necessario portare con sé, quale abito indossare, cosa
aver pensato durante il tragitto fino lì, e soprattutto con quale stato d’animo
era consigliato presentarsi, in modo che non si ponessero equivoci o imbarazzi.
L’edificio era imponente, i
bassorilievi sopra ai portali mostravano tutto lo spessore storico e culturale
che ne aveva definito quell’architettura; i corridoi all’interno apparivano
maestosi, come se ogni aula o piccola stanza che si apriva oltre le identiche
porte in legno scuro, fosse solo una piccolissima appendice di un insieme che
raccoglieva qualsiasi diversità.
I questionari erano consegnati
all’entrata, ed ognuno si piazzava seduto dietro a un banco della grande sala
oltre la portineria, a riempire i moduli che gli erano stati consegnati. Non
esistevano dei tempi prefissati: improvvisamente un funzionario appariva alle
spalle del candidato, osservava il lavoro svolto fino a quel momento, prendeva
in mano i fogli e decideva in pochi secondi l’ufficio al quale presentarsi.
Nessuna domanda, nessuna richiesta di
chiarimenti era permessa: a chi ne presentava per suo ardire, un sorriso
eloquente mostrava che era necessario tornare un altro giorno, possibilmente
con maggiori certezze a cui affidarsi. Il silenzio degli ambienti lasciava
risaltare l’importanza di ogni passo sopra a quei grandi pavimenti in marmo, e
anche il semplice scricchiolare della suola delle scarpe era evidentemente un
elemento da evitare.
Oltre la grande porta a vetri in
fondo al corridoio principale si apriva qualcosa di cui nessuno in genere
parlava: già solo aver varcato quella soglia era dimostrazione chiara di aver
piena coscienza di sé e del luogo ove si era stati ammessi, ed esser stati
scelti per arrivare fino lì significava essere degni di conservare completa
riservatezza di ciò di cui si era stati testimoni.
Ogni giorno si assisteva a un grande
via vai intorno all’edificio; dall’esterno le finestre vetrate dei piani
superiori apparivano in qualsiasi periodo dell’anno rigorosamente chiuse, ed i
tendaggi che si intravedevano non venivano mai scostati, in modo che da fuori
era impossibile capire se nelle stanze ci fosse qualcuno oppure no. Di certo si
sapeva che era impossibile avere altre informazioni, e l’unica verità di cui
continuamente si parlava in tutte le strade dei dintorni e in ogni negozio del
quartiere, era che gli uffici per l’Integrazione Pubblica erano quelli, ma ogni
altra cosa era del tutto indiscutibile.
Bruno Magnolfi
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