lunedì 30 agosto 2010

Un attimo per cambiare le cose.

            

            Non lo so, continuava a ripetersi mentalmente come cercando di darsi una convinzione ulteriore circa la sua fisiologica incapacità di decidere, quel non riuscire mai a sapere la soluzione migliore da prendere. A volte era patetico, se ne rendeva perfettamente conto, restarsene lì davanti a una domanda qualsiasi senza riuscire a dire se voleva una cosa oppure quell’altra, era un atteggiamento di cui provava quasi vergogna, ma che proprio non sapeva come cambiare. In passato aveva provato qualche volta a giustificarsi, ma generalmente era sempre stato scambiato per un imbranato stellare il cui cervello si bloccava alla minima difficoltà, senza riuscire ad andare più avanti.
            A lui invece le decisioni sembravano tutte importanti, e se cominciava a pensare le cose, ecco che ogni piccolezza gli appariva difficile, come se da qualsiasi stupidaggine potessero scaturire cose importanti che non era possibile non considerare in anticipo. Il suo vero problema di fondo era che non riusciva a fare niente con leggerezza, lasciarsi andare a ciò che veniva, e tutto questo deprezzava la sua personalità di non poco agli occhi degli altri.
            Aver deciso che Luisa era una ragazza che le piaceva, e trovare la maniera per farsi a sua volta apprezzare, erano stati dei passi notevolmente importanti, ma adesso era conscio che sarebbe arrivata la parte peggiore e più impegnativa. Le aveva offerto un gelato durante uno di quei pomeriggi ai tavolini all’aperto del solito bar con tutti gli altri ragazzi, e lei aveva parlato di sé, di quello che pensava e di ciò che maggiormente le piaceva. Lui l’aveva fatta parlare limitandosi ad annuire e a sorriderle su quella panchina appartata anche se a pochi metri da tutti quegli altri. Adesso però avrebbe dovuto chiederle di uscire con lui, e questo era un po’ più difficile.
            Lui quel pomeriggio era arrivato per primo. Luisa, con una sua amica, era arrivata per ultima, spandendo un saluto generico agli altri ragazzi, e conservando un sorriso e un brevissimo sguardo d’intesa soltanto per lui. Le battute e i discorsi di tutti erano andati avanti come sempre capitava, poi, casualmente, la ragazza con cui Luisa era arrivata, dopo aver preso al bar una lattina da bere, era andata a sedersi casualmente proprio nella sedia vicina alla sua. 
            Non c’era da farci alcun caso, probabilmente non c’era un disegno previsto, però lui si sentiva sulle spine, aveva quasi iniziato a sudare, tanto sentiva l’importanza di quella cosa. “Senti”, aveva detto la ragazza a voce bassissima. “Mi ha detto Luisa di dirti che se ti va lei ti aspetta in fondo ai giardinetti, perché ti vuole parlare”. Lui aveva sbattuto gli occhi parecchie volte dietro ai suoi occhiali, si era voltato da tutte le parti senza riuscire a capire da che parte fosse meglio guardare, infine, pur non avendo ancora risposto, aveva scosso nervosamente la testa come in modo affermativo, e la ragazza aveva subito detto qualcosa a voce alta ad un altro e si era alzata da lì.
            A un certo punto Luisa aveva girellato da sola dietro a tutti i ragazzi, poi era scomparsa senza farsene accorgere dietro ai primi cespugli, probabilmente andandosene verso la zona che l’amica aveva indicato. Lui aveva atteso, impossibile capire per quanto tempo vista l’agitazione di cui ormai era preda, poi un amico gli aveva chiesto se conosceva una certa persona, e lui aveva detto di si e la faccenda era andata un po’ per le lunghe. Poi aveva pensato di aver capito una cosa diversa, o che forse non era il caso di mostrarsi con Luisa così arrendevole, e quando ancora pensava alla cosa migliore da fare, ecco che lei era tornata, aveva fatto un cenno all’amica e se n’erano andate, senza neppure salutare.
            Tutto appariva perduto, i ragazzi continuavano a parlare come sempre, lui non riusciva a capire più niente. Poi si era alzato, dapprima lentamente, ma subito si era mosso con maggiore premura, e infine aveva corso, corso disperatamente dietro a Luisa, come fosse quella la cosa più importante di tutti, quella per cui si doveva calpestare ogni indugio, qualsiasi perplessità, ciascun dubbio, anche se gli altri non avrebbero mai capito niente di quello che stava accadendo.

            Bruno Magnolfi

             

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