Per
telefono il suo amico, senza neanche rendersene conto, gli aveva detto una cosa
terribile: “…Germano, non si può essere diversi da come siamo davvero…”, e lui
aveva iniziato a pensarci, appena chiusa la telefonata, a scavare dentro di sé.
Di fatto Germano aveva sempre cercato di essere un po’ differente da come lui
si vedeva, aveva costantemente riscontrato dentro di sé una miriade di difetti,
avrebbe voluto essere più incisivo con gli altri, più determinato nel dire le
cose, e più fermo nei propri propositi. Non l’aveva mai pensato sotto questa
luce diversa, ma in tutti i suoi anni lui aveva sempre cercato di cambiare in
qualcosa, magari rodendosi il fegato o cercando di rifarsi a qualche modello,
meno che accettarsi per quello che era. Forse era proprio lì dentro l’errore
iniziale, così era uscito di casa cercando di convincersi che tutto andava bene
così, non c’era bisogno di variare niente di sé. Ma gli tornava difficile
adesso alienare il suo modello autocritico, anche perché si sentiva permeato da
quel modo di essere, aveva sempre pensato le cose in quel modo, come si faceva
ad essere integri, a convincere tutti e se stessi che le cose erano a posto,
che non ci sarebbe stato bisogno di altro? Germano poi era entrato in un bar,
ma si era reso conto nel giro di poco, che non era sicuro di volere un caffè,
un’informazione o una birra, così era uscito in preda ad una specie di panico.
Poi aveva pensato ai sicuri di sé, coloro che avevano solo certezze, ne aveva
conosciuti diversi anche durante gli ultimi tempi; non gli sembravano persone
migliori, però forse quelli non cercavano di variare qualcosa della loro
persona, e probabilmente questo li avvicinava ad una sicurezza di sé che
assomigliava alla felicità materiale, quella per cui si riscontra che una cosa
è solo una cosa, un’idea soltanto un’idea e via discorrendo, senza confondere
niente. Avrebbe tanto voluto sentirsi più definito nei suoi modi di essere,
avere coscienza di essere utile agli altri, di far parte della comunità degli
umani, di sentirsi vicino ai problemi di tutti. Ma più ci pensava più perdeva
la capacità di essere certo di qualcosa di sé. Passarono i giorni ed il suo
affanno aumentava, non riusciva per nulla ad accettare se stesso, ma comunque
metteva le cose, trovava sempre un motivo importante per impegnarsi a
migliorare il suo essere, a cambiare i criteri con cui affrontava la vita. Poi,
incontrò il suo amico per strada, si videro, andarono incontro l’un l’altro, ma
quando furono vicini, Germano disse soltanto: “… scusa, non ho tempo per te,
adesso…”.
Bruno
Magnolfi
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