lunedì 27 luglio 2009

Diversi.



            Per telefono il suo amico, senza neanche rendersene conto, gli aveva detto una cosa terribile: “…Germano, non si può essere diversi da come siamo davvero…”, e lui aveva iniziato a pensarci, appena chiusa la telefonata, a scavare dentro di sé. Di fatto Germano aveva sempre cercato di essere un po’ differente da come lui si vedeva, aveva costantemente riscontrato dentro di sé una miriade di difetti, avrebbe voluto essere più incisivo con gli altri, più determinato nel dire le cose, e più fermo nei propri propositi. Non l’aveva mai pensato sotto questa luce diversa, ma in tutti i suoi anni lui aveva sempre cercato di cambiare in qualcosa, magari rodendosi il fegato o cercando di rifarsi a qualche modello, meno che accettarsi per quello che era. Forse era proprio lì dentro l’errore iniziale, così era uscito di casa cercando di convincersi che tutto andava bene così, non c’era bisogno di variare niente di sé. Ma gli tornava difficile adesso alienare il suo modello autocritico, anche perché si sentiva permeato da quel modo di essere, aveva sempre pensato le cose in quel modo, come si faceva ad essere integri, a convincere tutti e se stessi che le cose erano a posto, che non ci sarebbe stato bisogno di altro? Germano poi era entrato in un bar, ma si era reso conto nel giro di poco, che non era sicuro di volere un caffè, un’informazione o una birra, così era uscito in preda ad una specie di panico. Poi aveva pensato ai sicuri di sé, coloro che avevano solo certezze, ne aveva conosciuti diversi anche durante gli ultimi tempi; non gli sembravano persone migliori, però forse quelli non cercavano di variare qualcosa della loro persona, e probabilmente questo li avvicinava ad una sicurezza di sé che assomigliava alla felicità materiale, quella per cui si riscontra che una cosa è solo una cosa, un’idea soltanto un’idea e via discorrendo, senza confondere niente. Avrebbe tanto voluto sentirsi più definito nei suoi modi di essere, avere coscienza di essere utile agli altri, di far parte della comunità degli umani, di sentirsi vicino ai problemi di tutti. Ma più ci pensava più perdeva la capacità di essere certo di qualcosa di sé. Passarono i giorni ed il suo affanno aumentava, non riusciva per nulla ad accettare se stesso, ma comunque metteva le cose, trovava sempre un motivo importante per impegnarsi a migliorare il suo essere, a cambiare i criteri con cui affrontava la vita. Poi, incontrò il suo amico per strada, si videro, andarono incontro l’un l’altro, ma quando furono vicini, Germano disse soltanto: “… scusa, non ho tempo per te, adesso…”.

            Bruno Magnolfi


Nessun commento:

Posta un commento