Durante
le ultime ore di quell’estenuante viaggio che gli stava esaurendo tutte le
forze rimaste, per resistere aveva cercato di pensare a quando era piccolo, e a
suo padre, prima di tutto, prima che gli scontri con le milizie se lo
portassero via. Aveva ripensato anche alla casa, la casa di pietre con l’orto e
il cortile, agli alberi verdi, alle galline ed ai campi, alle staccionate che
nei suoi ricordi delimitavano così bene gli spazi, e poi tutta la campagna
d’intorno, a perdita d’occhio. Non sapeva come sarebbe stato il futuro una
volta uscito dal doppiofondo del camion, non sapeva neanche cosa avrebbe
trovato, forse un lavoro, un amico, un posto dove abitare, però sapeva che
tutti quei suoi ricordi d’infanzia, prima che la guerra avesse portato via tutto
da lì, da dove lui era nato, ecco, quei ricordi lui avrebbe dovuto scordarli,
evitare di pensarli di nuovo, evitare di parlare agli altri di sé, abbassare
sempre la testa e affrontare ogni volta quello che gli veniva chiesto di fare,
questo era il futuro per lui, senza dubbio, ne era pienamente cosciente. Dentro
a quello spazio di ferro erano in tre, e neppure potevano muoversi, schiacciati
com’erano, nel buio tra le lamiere del camion; un filo d’aria arrivava da una
sottile fessura da un lato, e poi quel rumore assordante e continuo, e le
curve, una dietro quell’altra, che continuavano a far muovere il suo stomaco
vuoto da giorni, in un desiderio implacabile di vomitare e di fermare
quell’assurda corsa nel niente. Assieme alla scarsissima aria da fuori, arrivava
l’odore delle strade straniere, odore di gomma bruciata, di asfalto, di gasolio
e di terra. Non riusciva neppure più a immaginare se fuori era giorno o se era
scesa la notte, l’unica cosa che continuava a martellargli i pensieri erano
quelle ruote di camion che sotto di lui avanzavano verso qualcosa di incognito,
che rotolavano avanti avvicinandosi sempre di più al momento in cui sarebbe
finito quel viaggio pazzesco, quella corsa da clandestini indesiderati da
tutti, che potevano solo pagarsi quell’ultimo tentativo e nient’altro nella
loro vita rognosa, inferiore a qualsiasi aspettativa di uomini. Quelle ruote
andavano avanti, ma forse lui avrebbe voluto fermarle coi suoi pensieri, dire
forte nella sua lingua che non era possibile, non poteva essergli toccata una
vita di stenti così, un sentirsi preda del mondo e di tutti, non avere
nient’altro che vent’anni, una maglietta, dei jeans sopra la pelle, e una
faccia che era meglio mescolare da ora in avanti a tante altre facce, una volta
arrivati, per non essere differente a quella degli altri, quelli che erano
partiti prima di lui e che adesso si erano spersi in quelle terre straniere, e
forse con tanti anni di sacrificio erano riusciti a conquistarsi la dignità di
extracomunitari buoni, bravi, che non creano complicazioni, ma lavorano e
basta, e annullano tutto di sé. Lui non si sentiva così, aveva voglia di
vivere, di gridare in maniera esauriente che lui era vivo dentro a quella tomba
di ferro, che aveva pensato già tutto quello che aveva potuto pensare, e le sue
idee, passate attraverso quelle prove incredibili, adesso erano pronte per
tutti, ad essere divulgate tra quanti avrebbero ancora dovuto passare la soglia
di quel dolore inumano dopo di lui. Poi si calmava, cercava un respiro che gli
riportasse la voglia di vita, di essere vivo, di pensare una semplice briciola
di positivo che ci doveva pur essere dentro a quella situazione impossibile. E
infine il camion rallentò, lui sentì l’odore forte dei freni in azione, e
subito dopo gente che parlava in una lingua che lui non aveva mai conosciuto, e
quei bastoni che picchiavano forte sopra alle lamiere che contenevano loro, e
alla fine l’apertura del varco che li aveva sepolti per giorni, e la luce
diretta, fortissima, e il loro sentirsi quasi incoscienti, imbambolati, privi
di qualsiasi possibilità di reagire a quelle domande incomprensibili, assurde,
piene di rabbia, di odio senza che loro si sentissero davvero colpevoli, se non
di essere lì, ancora vivi. Strattonati, tempestati da mille domande, non avevano
più voglia di niente, forse neppure di vivere, ma qualcuno, forse per pietà
umana, disse con voce pacata, in una lingua a loro comprensibile, che sarebbero
stati rimpatriati di nuovo, che purtroppo non c’era bisogno di loro in quella
nazione.
Bruno Magnolfi
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