martedì 21 luglio 2009

Inutile tentativo.



            Durante le ultime ore di quell’estenuante viaggio che gli stava esaurendo tutte le forze rimaste, per resistere aveva cercato di pensare a quando era piccolo, e a suo padre, prima di tutto, prima che gli scontri con le milizie se lo portassero via. Aveva ripensato anche alla casa, la casa di pietre con l’orto e il cortile, agli alberi verdi, alle galline ed ai campi, alle staccionate che nei suoi ricordi delimitavano così bene gli spazi, e poi tutta la campagna d’intorno, a perdita d’occhio. Non sapeva come sarebbe stato il futuro una volta uscito dal doppiofondo del camion, non sapeva neanche cosa avrebbe trovato, forse un lavoro, un amico, un posto dove abitare, però sapeva che tutti quei suoi ricordi d’infanzia, prima che la guerra avesse portato via tutto da lì, da dove lui era nato, ecco, quei ricordi lui avrebbe dovuto scordarli, evitare di pensarli di nuovo, evitare di parlare agli altri di sé, abbassare sempre la testa e affrontare ogni volta quello che gli veniva chiesto di fare, questo era il futuro per lui, senza dubbio, ne era pienamente cosciente. Dentro a quello spazio di ferro erano in tre, e neppure potevano muoversi, schiacciati com’erano, nel buio tra le lamiere del camion; un filo d’aria arrivava da una sottile fessura da un lato, e poi quel rumore assordante e continuo, e le curve, una dietro quell’altra, che continuavano a far muovere il suo stomaco vuoto da giorni, in un desiderio implacabile di vomitare e di fermare quell’assurda corsa nel niente. Assieme alla scarsissima aria da fuori, arrivava l’odore delle strade straniere, odore di gomma bruciata, di asfalto, di gasolio e di terra. Non riusciva neppure più a immaginare se fuori era giorno o se era scesa la notte, l’unica cosa che continuava a martellargli i pensieri erano quelle ruote di camion che sotto di lui avanzavano verso qualcosa di incognito, che rotolavano avanti avvicinandosi sempre di più al momento in cui sarebbe finito quel viaggio pazzesco, quella corsa da clandestini indesiderati da tutti, che potevano solo pagarsi quell’ultimo tentativo e nient’altro nella loro vita rognosa, inferiore a qualsiasi aspettativa di uomini. Quelle ruote andavano avanti, ma forse lui avrebbe voluto fermarle coi suoi pensieri, dire forte nella sua lingua che non era possibile, non poteva essergli toccata una vita di stenti così, un sentirsi preda del mondo e di tutti, non avere nient’altro che vent’anni, una maglietta, dei jeans sopra la pelle, e una faccia che era meglio mescolare da ora in avanti a tante altre facce, una volta arrivati, per non essere differente a quella degli altri, quelli che erano partiti prima di lui e che adesso si erano spersi in quelle terre straniere, e forse con tanti anni di sacrificio erano riusciti a conquistarsi la dignità di extracomunitari buoni, bravi, che non creano complicazioni, ma lavorano e basta, e annullano tutto di sé. Lui non si sentiva così, aveva voglia di vivere, di gridare in maniera esauriente che lui era vivo dentro a quella tomba di ferro, che aveva pensato già tutto quello che aveva potuto pensare, e le sue idee, passate attraverso quelle prove incredibili, adesso erano pronte per tutti, ad essere divulgate tra quanti avrebbero ancora dovuto passare la soglia di quel dolore inumano dopo di lui. Poi si calmava, cercava un respiro che gli riportasse la voglia di vita, di essere vivo, di pensare una semplice briciola di positivo che ci doveva pur essere dentro a quella situazione impossibile. E infine il camion rallentò, lui sentì l’odore forte dei freni in azione, e subito dopo gente che parlava in una lingua che lui non aveva mai conosciuto, e quei bastoni che picchiavano forte sopra alle lamiere che contenevano loro, e alla fine l’apertura del varco che li aveva sepolti per giorni, e la luce diretta, fortissima, e il loro sentirsi quasi incoscienti, imbambolati, privi di qualsiasi possibilità di reagire a quelle domande incomprensibili, assurde, piene di rabbia, di odio senza che loro si sentissero davvero colpevoli, se non di essere lì, ancora vivi. Strattonati, tempestati da mille domande, non avevano più voglia di niente, forse neppure di vivere, ma qualcuno, forse per pietà umana, disse con voce pacata, in una lingua a loro comprensibile, che sarebbero stati rimpatriati di nuovo, che purtroppo non c’era bisogno di loro in quella nazione.


Bruno Magnolfi

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