L’espressione
dolce della ragazza in quel contesto appariva terribile. Per lavoro lui era
costretto a transitare spesso lungo quella strada statale, serpeggiante nella
vegetazione del bosco tra due paesi vicini. Aveva notato quella ragazza perché
non si poteva fare a meno di avere lo sguardo attratto da lei. Certi giorni
portava dei vestiti quasi eleganti, ricercati, per colore e per foggia, che a
lei stavano bene, a volte con delle vistose collane, con dei foulards, dei
cappelli, si vedeva che all’abbigliamento ci teneva parecchio. Quando era lì,
sempre al suo solito posto, una piazzola vicino alla strada, piena di alberi
verdi, appartata, stava molto spesso al telefono; però continuava a guardare la
strada, a farsi notare da chi transitava, in fondo faceva parte del suo lavoro,
ma senza mai fare un gesto, un accenno, nemmeno un sorriso, a chi le passava
davanti, come se fosse impassibile, sempre con la stessa espressione. Lui non
aveva mai neanche rallentato passando con la sua macchina, però era rimasto attratto
da quella figura, fin da quando l’aveva vista per la prima volta, oltre quel
margine consueto di strada, monotono e senza particolari di sorta se non fosse
stato per lei, così al di fuori della norma corrente, così bello il suo viso e
pesante la sua condizione da fargli desiderare col cuore di non vederla di
nuovo, la volta seguente, in quella piazzola. Invece, quando poi si ritrovava a
passare, lei era lì, anche se aveva notato ci stava soltanto per qualche ora
del giorno, e poi basta. Una volta, passando, lui le aveva fatto un timido
gesto con una mano, giusto un saluto, nient’altro, e lei gli aveva risposto con
lo stesso identico gesto. Lui non aveva mai pagato l’amore, rifiutava persino
l’idea, la sua distanza di principio con quella ragazza era forte, eppure gli
sembrava che qualcosa li unisse, come se dentro quel gesto ci fosse un’intesa
superiore ai loro diversi destini. Aveva continuato a passare, ogni volta, e
ogni volta a rivolgerle lo stesso saluto, a cui lei rispondeva, come per
un’amicizia assodata, adesso aggiungendo un leggero sorriso. Si sentiva
ridicolo, gli pareva tutto un assurdo vorticare dei tempi che masticavano
persone come fossero pezzi di carne dati ad un’orda di lupi affamati. Eppure
quel filo che lo legava a quello stupidissimo saluto era per lui diventato
importante, più di tante altre cose. Aveva già pensato più volte di fermarsi
con la sua macchina su quella piazzola, chiedere a quella ragazza il suo nome,
sentirne la voce, scambiare con lei due parole qualsiasi e poi via, ognuno per
sé, senza preoccuparsi neppure di spengere il motore dell’auto: ma gli
risultava difficile, non voleva assolutamente essere scambiato per ciò che non
era, gli piaceva la persona, non ciò che faceva. Poi, un pomeriggio diverso
dagli altri, lei era da sola, e lui accostò la sua macchina. Lei lo vide, lo
riconobbe, ma non si mosse, rimase dov’era, ad una distanza di cinque o sei
metri, e indirizzò verso di lui un profondo sorriso. “Ciao”, disse lui, e poi,
come se un nodo gli stringesse la gola, non riuscì a dire altro. Allora lei lo
aiutò, sollevò la sua mano, senza smettere il suo largo sorriso, e portata la
mano alla bocca, fece il gesto di inviargli un suo bacio, con calma, con tenerezza, forse con una spontaneità che
aveva quasi rimosso. A lui non restò altro da fare che rinviarle lo stesso suo
bacio, con il medesimo gesto, in un’intesa perfetta; poi, riprese la strada.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento