Dopo
la logica euforia iniziale, negli anni ’60, quando fu confermato in paese che
in quella zona, assieme al tracciato, avrebbero costruito l’ingesso e l’uscita
dall’autostrada, qualcuno comprensibilmente si chiese a chi servisse veramente
il casello, visto che in tutta quella parte della provincia abitavano appena
poche migliaia di persone. Però ci si era abituati quasi subito a quella novità
positiva, e Renato, che aveva fatto domanda per lavorare al casello come
esercente, fu felice più di ogni altro quando seppe di essere assunto in quel
posto di lavoro così vicino al paese. Rispettavano i turni, lui e i suoi
colleghi, lavorando a volte di giorno e a volte di notte, perché il casello era
sempre in funzione, anche se erano pochi i veicoli in transito. Per questo
motivo Renato certe volte si portava qualcosa da leggere nella sua cabina di
vetro; poi, quando arrivava un veicolo, si faceva consegnare il biglietto,
prendeva i soldi relativi al percorso, e consegnava il resto con precisione. La
maggior parte delle persone che transitava era gente del suo paese, li
conosceva, così certe volte scambiava un saluto o due parole di corsa, ma il
resto del giorno era monotono e basta. Di notte poi era anche peggio. In una
rotazione completa passavano si e no trenta o quaranta veicoli, e tutto quel
turno senza far niente era lungo, infinito. Poi, quella volta, alle due della
notte, arrivò una macchina bianca. C’era una donna all’interno, che tirò giù il
finestrino, lo guardò, poi gli chiese se poteva aiutarla. “Certo”, disse
Renato, e lei uscì dal casello, parcheggiò in una zona dove la sua macchina era
poco visibile, e poi si gettò nelle sue braccia, come fosse il suo salvatore.
Disse di chiamarsi Fernanda, che dietro di lei c’era un uomo crudele, che la
inseguiva, ma lei non voleva più avere a che fare con quell’uomo senza
cervello. La nascose lì dentro, Renato, in quella sua cabina di vetro,
facendola sedere per terra e continuando imperterrito con il suo lavoro. Dopo
pochi minuti arrivò quell’uomo che Fernanda gli aveva descritto, si guardò
attorno, poi gli chiese qualcosa, ma Renato fu pronto a rispondergli che non
era passata da lì nessuna donna sopra ad una macchina bianca. Quando rimasero
soli, lui e Fernanda, parlarono a lungo delle loro esistenze, e quando il suo
turno di lavoro al casello fu terminato, se ne andarono assieme verso la sua
abitazione, al paese vicino. Si misero assieme, lui e lei, da quella notte in
avanti e senza porsi troppe domande, e Fernanda in capo ad un mese pareva
perfetta nel ruolo in cui si era trovata. Renato viveva per lei, e tutto era
quasi un miracolo di quell’autostrada. Poi, una volta, dopo un altro turno di
notte, Renato tornò a casa e Fernanda non era più lì; non ci furono drammi,
Renato non si mosse per andare a cercarla: pianse, si sentì disperato, ma fu
cosciente che quel che era successo era una cosa ammissibile, quasi prevista
tra le cose possibili. Nel suo paese, per tutti, lui era solo il casellante
dell’autostrada, nient’altro, m lui si sentiva migliore di quel ruolo che si era
trovato, e soprattutto superiore a qualsiasi possibile critica che gli avevano
mosso i suoi compaesani e che in seguito avrebbero saputo gettargli dietro le
spalle. Perciò, quando l’orario di inizio del turno lo riportò al suo casello,
e lo inchiodò dentro alla sua cabina di vetro, lui riprese come niente fosse
successo il suo lavoro, ma cominciò fin da allora a sperare di rivedere
Fernanda, per darle ancora una mano, sperando con tutte le forze che aveva, che
lei ancora una volta passasse da lì, a chiedere ancora il suo aiuto, perché lui
sarebbe stato pronto di nuovo, in qualsiasi momento, a vivere ancora per lei,
per quella donna qualsiasi, in fuga sull’autostrada di tutti.
Bruno Magnolfi
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