mercoledì 22 luglio 2009

In fuga da tutto.



            Dopo la logica euforia iniziale, negli anni ’60, quando fu confermato in paese che in quella zona, assieme al tracciato, avrebbero costruito l’ingesso e l’uscita dall’autostrada, qualcuno comprensibilmente si chiese a chi servisse veramente il casello, visto che in tutta quella parte della provincia abitavano appena poche migliaia di persone. Però ci si era abituati quasi subito a quella novità positiva, e Renato, che aveva fatto domanda per lavorare al casello come esercente, fu felice più di ogni altro quando seppe di essere assunto in quel posto di lavoro così vicino al paese. Rispettavano i turni, lui e i suoi colleghi, lavorando a volte di giorno e a volte di notte, perché il casello era sempre in funzione, anche se erano pochi i veicoli in transito. Per questo motivo Renato certe volte si portava qualcosa da leggere nella sua cabina di vetro; poi, quando arrivava un veicolo, si faceva consegnare il biglietto, prendeva i soldi relativi al percorso, e consegnava il resto con precisione. La maggior parte delle persone che transitava era gente del suo paese, li conosceva, così certe volte scambiava un saluto o due parole di corsa, ma il resto del giorno era monotono e basta. Di notte poi era anche peggio. In una rotazione completa passavano si e no trenta o quaranta veicoli, e tutto quel turno senza far niente era lungo, infinito. Poi, quella volta, alle due della notte, arrivò una macchina bianca. C’era una donna all’interno, che tirò giù il finestrino, lo guardò, poi gli chiese se poteva aiutarla. “Certo”, disse Renato, e lei uscì dal casello, parcheggiò in una zona dove la sua macchina era poco visibile, e poi si gettò nelle sue braccia, come fosse il suo salvatore. Disse di chiamarsi Fernanda, che dietro di lei c’era un uomo crudele, che la inseguiva, ma lei non voleva più avere a che fare con quell’uomo senza cervello. La nascose lì dentro, Renato, in quella sua cabina di vetro, facendola sedere per terra e continuando imperterrito con il suo lavoro. Dopo pochi minuti arrivò quell’uomo che Fernanda gli aveva descritto, si guardò attorno, poi gli chiese qualcosa, ma Renato fu pronto a rispondergli che non era passata da lì nessuna donna sopra ad una macchina bianca. Quando rimasero soli, lui e Fernanda, parlarono a lungo delle loro esistenze, e quando il suo turno di lavoro al casello fu terminato, se ne andarono assieme verso la sua abitazione, al paese vicino. Si misero assieme, lui e lei, da quella notte in avanti e senza porsi troppe domande, e Fernanda in capo ad un mese pareva perfetta nel ruolo in cui si era trovata. Renato viveva per lei, e tutto era quasi un miracolo di quell’autostrada. Poi, una volta, dopo un altro turno di notte, Renato tornò a casa e Fernanda non era più lì; non ci furono drammi, Renato non si mosse per andare a cercarla: pianse, si sentì disperato, ma fu cosciente che quel che era successo era una cosa ammissibile, quasi prevista tra le cose possibili. Nel suo paese, per tutti, lui era solo il casellante dell’autostrada, nient’altro, m lui si sentiva migliore di quel ruolo che si era trovato, e soprattutto superiore a qualsiasi possibile critica che gli avevano mosso i suoi compaesani e che in seguito avrebbero saputo gettargli dietro le spalle. Perciò, quando l’orario di inizio del turno lo riportò al suo casello, e lo inchiodò dentro alla sua cabina di vetro, lui riprese come niente fosse successo il suo lavoro, ma cominciò fin da allora a sperare di rivedere Fernanda, per darle ancora una mano, sperando con tutte le forze che aveva, che lei ancora una volta passasse da lì, a chiedere ancora il suo aiuto, perché lui sarebbe stato pronto di nuovo, in qualsiasi momento, a vivere ancora per lei, per quella donna qualsiasi, in fuga sull’autostrada di tutti.

Bruno Magnolfi


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