mercoledì 8 luglio 2009

Via!

           


            L’Alto Dirigente della multinazionale era andato presto in ufficio, molto prima che gli impiegati entrassero anche loro nel palazzo dai vetri oscurati che oramai da tantissimi anni era la sede della struttura. Gli piaceva arrivare presto a lavoro, almeno nei giorni in cui non era in qualche altro luogo del mondo a sbrigare gli affari necessari all’azienda. Gli piaceva parcheggiare la macchina nel garage riservato, entrare con calma nell’ingresso deserto al piano terreno, salutare il portiere di turno, lasciarsi chiamare da lui, con un gesto di goduta cortesia, l’unico ascensore tra i tre disponibili che arrivava fino all’ultimo piano, quello dei soli dirigenti e delle loro rispettive segretarie. Ma quel giorno qualcosa di particolare era dentro di lui: si volse verso il portiere, lo guardò dentro agli occhi, come a cercare di ricordarsi il suo volto, poi sparì tra le porte scorrevoli. Una mail gli aveva diagnosticato il tumore che lui sospettava da tempo, opportunamente nello stesso momento in cui la sua azienda era sull’orlo del baratro: un deficit colossale, chiusi i finanziamenti bancari, chiusi gli aiuti di stato, futuro azzerato. Con sua moglie non aveva parlato di niente, in fondo erano tutti argomenti per lo più disdicevoli, era meglio usare la giusta distanza; così aveva pensato di gettarsi semplicemente di sotto dall’ultimo piano del suo bel palazzo dai vetri oscurati, senza lasciare neppure un biglietto di scuse, ma nella nottata, trascorsa a pensare, aveva scartato la soluzione: troppo plateale e poi stomachevole. Aveva anche  respinto l’idea di usare quella vecchia pistola che teneva in qualche cassetto dentro al suo ufficio, la sua segretaria non avrebbe gradito trovarlo in un lago di sangue. Restava la fuga, anzi, la cosa migliore sarebbe stata quella di razziare dei soldi, quanti di più e dove era possibile, e sparire per sempre in un esilio dorato di qualche paradiso dei tropici a godersi gli ultimi anni di vita. Perciò in quel mattino era necessario arrivare a decidere. Seduto alla sua scrivania, aspettando qualcosa di cui non immaginava neppure i contorni, con il cielo appena fuori dai vetri, l’Alto Dirigente si sentiva tremare. Un’ora, due al massimo, e le cose avrebbero preso una piega che sarebbe poi stato impossibile distendere. Arrivò, con una certa saggezza, la sua segretaria, che sapeva del suo vizio di entrare per primo in ufficio, ma lui la affrontò, chiedendole subito di visionare certi rapporti e alcuni documenti ancora prima che lei avesse tolto il soprabito. Poi, nervosamente, l’Alto Dirigente passeggiò più di una volta nei corridoi di quell’ultimo piano dai pavimenti di specchio, osservò quel suo ufficio di pelle e di acciaio, riguardò la sua scrivania con sopra gli oggetti della sua vita, si soffermò davanti alla sua segretaria che nell’ufficio di fianco stava già lavorando per lui, e infine premette il pulsante dell’ascensore pneumatico che in un soffio gli aprì le sue porte. Nell’ingresso il portiere era ancora al suo posto. L’Alto Dirigente della multinazionale, scartando qualsiasi altro percorso, si mosse verso di lui, con decisione, si fermò di fronte al suo banco, lo guardò in fondo agli occhi, gli strinse la mano superando quello stupore che immaginava nell’altro, e poi andò via.

Bruno Magnolfi

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