Vendere fiori non sempre era semplice. Si doveva avere un
sorriso per tutti, come il commercio al dettaglio spesso richiede, però c’erano
anche clienti che portavano i fiori sopra a una tomba, altri che invece
omaggiavano i vivi, che facevano la corte a una donna, c’era chi festeggiava
una nascita, o chi andava a una festa per un compleanno, e chi a un matrimonio.
Poi c’erano quelli che amavano i fiori, indipendentemente da tutto, e in casa
propria ne riempivano un vaso ogni giorno, e infine coloro dei quali non si
capiva quale ragione ci fosse per spingerli lì. Uno di questi con uno strano
cappello si era infilato dentro al negozio con l’aria di chi non sa che pesci
pigliare, aveva girato con gli occhi tra tutti i colori e le specie di piante,
infine aveva comprato solo una rosa. La settimana seguente era tornato, ed
aveva ugualmente acquistato una semplice rosa. Poi non si era più fatto vedere
per un lungo periodo, ma quando era tornato, ero da sola in negozio ed era quasi
l’ora di chiudere, si era fatto ancora confezionare una rosa, la più bella che
avessi, e alla fine, quando aveva pagato e non gli restava altro da fare che
uscire, si era invece girato verso di me, mi aveva donato quel fiore, e in un
fiato aveva spiegato: “Ciao, Marisa, tu non puoi riconoscermi, ma io sono
Eugenio, il tuo compagno di giochi di quando avevamo dieci anni”. Naturalmente
io rimasi di sasso, primo perché quell’uomo non assomigliava a nessuno che io
ricordassi, poi perché non capivo quel suo comportamento un po’ ambiguo. Gli
chiesi qualcosa per sincerarmi che fosse davvero l’Eugenio che io ricordavo
tanti anni prima, e tutto emerse in poche parole come un miracolo dai nostri
ricordi. Era impossibile non chiedergli che cosa gli fosse successo, perché non
si fosse fatto riconoscere fin dalla prima volta, ma lui parlò di cose
difficili da dire e spiegare, che era meglio per tutti non fare domande.
Parlammo dei nostri anni bellissimi, di quando eravamo bambini, quando le cose
erano ancora tutte da essere, e la vita pareva leggera, priva di serietà e di
amarezze. Mi aiutò a chiudere il negozio, poi si rimase ambedue per un attimo
fermi, in silenzio, da soli, lì, su quel marciapiede, e a me venne da piangere,
in maniera un po’ stupida, forse infantile, mentre l’ora serale ovattava le
cose e rendeva tutto forse più triste. La vita di ognuno di noi è un libro da
scrivere, pensai, mentre salutavo Eugenio ignorando praticamente tutto di lui:
però delle volte certe pagine combaciano in maniera inattesa, e forse è questo
il senso di tutto, è sufficiente quell’attimo, anche se giunge solo una volta
ogni tanto, perché dentro di sé ha già tutto, e non serve nient’altro.
Bruno Magnolfi
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