mercoledì 29 luglio 2009

Sarà di giovedì.



            Sarebbe stato il giovedì il mio giorno preferito per la fuga. E’ del tutto evidente che con ogni probabilità non sarei mai fuggito veramente, non ce l’avrei mai fatta ad allontanarmi dal luogo dove avevo impostato la mia vita, dove vivono ancora adesso i miei amici, i miei pochi parenti, dove è posata la tomba dei miei genitori, però era bello ogni tanto pensarci, prevedere nel proprio futuro una possibilità di quel genere. In fondo, a volte pensavo, cosa mi interessa della vita che conduco, spesso mi sembra una sequenza di cose già fatte, come un film in bianco e nero proiettato talmente tante volte da apparire logoro, desueto, buono solo come reperto di un epoca, dei costumi di povera gente ridotta a divertirsi di niente e a vivere di nulla, dentro a una monotonia superiore alla sopportazione ordinaria. Ridevo a volte di me e delle cose di ogni giorno, con una risata che finiva quasi in un singhiozzo. Gli amici con i quali qualche volta mi ero lamentato nel solito bar di ogni sera, mi avevano detto che forse ero matto, come potevo aspettarmi in un paese come il nostro, dicevano, qualcosa di diverso se non quell’andamento monotono e indolente, quel ritrovarci rituale nei soliti posti a fare e a pensare le solite cose di sempre? Secondo loro era impossibile e stupido cambiare, tanto valeva farci la bocca, e cercare di approfittare del meglio di quella fornitura, prima che la vecchiaia ci avesse tolto anche quel poco di cui riuscivamo ancora a divertirci. Ma io non riuscivo a rassegnarmi, così di nascosto sognavo di andarmene, senza salutare, senza lasciare niente alle mie spalle, se non il ricordo di me per chi avrebbe voluto ricordarmi; nient’altro. Non avevo alcuna idea di dove sarei potuto andare via da lì, ma anche questo faceva parte del mio gioco: prendere e andarsene, questa era l’idea, senza preavviso, senza alcuna preparazione, magari uscendo ancora sporco dal lavoro, senza valigia, senza soldi, andarsene via così, esattamente come mi trovavo, in un momento qualsiasi di una qualunque giornata, di giovedì. Probabilmente, pensavo, avrei raggiunto un posto di mare, mi immaginavo di sbarcare nella tranquillità di un qualsiasi paesino sulla costa dove avrei potuto ricominciare da capo qualche cosa, senza preoccuparmi di dover dire che ero e del perché mi trovassi lì. Una scelta, era quello il mio sogno, la mia fissazione ormai, ed era così radicata dentro di me, da farmi sentire meglio ogni giorno, come una certezza che non delude, un’idea che puntella la giornata, ad evitare che ne crollino le strutture principali, quelle portanti, quelle che ti danno la possibilità di sentirti ancora una persona, in luogo di paragonarti a un vegetale. Invece i giorni continuavano a scorrere sopra ai calendari, e niente succedeva, né a me, né a chi mi stava attorno. Quando andai via veramente fu del tutto diverso da come me lo ero immaginato. Non provai emozione, perché quello era solo il completamento di tutto il mio pensiero, e tutto scivolò via come lubrificato. Trovai il mio posto, quello che avevo cercato dentro di me, nel mio scavo interiore, raggiunsi la costa, e il mare, e tutto quello che mi apriva ancora i sogni e riusciva a far volare alti i miei pensieri, e poi non fu così difficile, e venni accolto, trovai nuove persone, gente che poteva voler bene anche a un relitto della vita come forse ero diventato, e riuscii a sentirmi bene, a posto, lontano da tutto quello che avevo voluto fuggire. Però non fu di giovedì.

            Bruno Magnolfi


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