Iniziai
con un sottile dolore a una gamba, in una zona appena sopra al ginocchio.
Passarono i giorni ma quel penetrante dolore non voleva passare. Concentrai i
miei pensieri proprio intorno a quel male, per parecchie sere, da solo, in
silenzio. Infine scomparve. Poco tempo più tardi, una sensazione di
affaticamento perenne iniziò a farsi sentire dentro al mio addome, in una zona
compresa tra i polmoni e lo stomaco. Pensai quasi di tutto: qualcosa che
continuavo a mangiare e a cui ero allergico senza saperlo, l’aria inquinata di
questa periferia puzzolente, il mio nervosismo perenne. Mi concentravo,
combattevo il dolore, che intanto aveva iniziato ad emergere, con la forza di
tutti i pensieri che avevo, ma i risultati sperati non c’erano. Per esorcizzare
il mio male iniziai a pensare alle cose più brutte: ulcera, tumore, principio
di infarto, qualunque cosa mi sembrava possibile. Pensai alla mia morte come ad
un evento vicino, ma continuavo a passare le sere concentrandomi sulle mie
sofferenze, e tutto mi sembrava sempre più legato ad un semplice filo sottile.
Mi sentivo sempre più in bilico tra il conservare tutto quello che ero, se il
mio malessere si fosse in breve risolto, e il perdere tutto in una babele
infinita di ospedali, dottori, ricoveri, che avrebbero tolto in un attimo la
mia libertà di pensiero, il mio equilibrio col mondo, il mio vivere così come
lo avevo impostato da sempre. Confidavo ogni sera nel pensiero finale, prima di
dormire il mio sonno agitato, pieno di incubi e di zone non chiare: tutto si
sarebbe in qualche modo risolto, forse bastava girarmi nel letto nella
posizione più giusta, su un fianco, oppure sull’altro, e tutto sarebbe passato.
Mi svegliai una mattina con l’assenza miracolosa e insperata di ogni dolore:
era la prova esauriente di superiorità del pensiero rispetto alla carne, al
concreto, alla vile materia. Passò un po’ di tempo, poi lo stesso dolore
riprese. Stavolta non ci poteva essere alcun fraintendimento. Cominciai a
combattere il male con una forza cocciuta che contrastava il dolore, e tanto
sforzai la mia mente che alla fine non sentivo più niente. Sapevo che il male
era presente, qualcosa lavorava dentro di me senza che potessi realmente
aggredirlo, ma io ne tenevo a bada il vigore, e con indifferenza superiore a
qualsiasi negativo sentire, ne neutralizzavo il potere. In quel periodo la mia
vita si era di fatto avvitata attorno a quel duello supremo, gettandosi dietro
le spalle ogni altro risvolto, ma il fondamentale equilibrio tra il dentro ed
il fuori, del quale ero sempre stato sostenitore agguerrito, si era confuso in
mezzo ai miei sforzi; la mia giornata apparentemente sembrava identica a prima,
ma in realtà era radicalmente diversa. C’ero e non c’ero, mi sentivo sparire in
ogni attimo che pensavo al futuro, tenevo frenato ogni mio desiderio che mi
spingesse più in là del presente, proprio ad evitare qualsiasi delusione.
Quando iniziai ad avere gli attacchi di tosse non mi parve neppure un
peggioramento inatteso: anzi, questo espellere aria e catarri, mi parve
mostrasse fuori di me qualcosa che c’era e che faceva parte del mio intimo
esistere; niente di meglio se non essere chiaro, esauriente, sincero con tutti.
Ero quasi felice di mostrarmi agli altri come ammalato: giustificava ogni mio comportarmi,
i pensieri contorti, il mio agire a volte enigmatico, il mio corpo dalla forma
non bella, forse devastato al suo interno da chissà quali tarme che ne rodevano
l’intimo, ne succhiavano le parti più molli, quelle più fragili e a
disposizione di ogni predatore di umani. Infine, mi fu raccontato, che in preda
ad un attacco di tosse e di asma, fui raccolto privo di sensi su un marciapiede
di fronte alla mia abitazione. Trascorsi soltanto tre giorni in quella clinica
medica, e quando ne uscii ero apparentemente guarito. Tutto era a posto,
dissero i medici, ma dentro di me, in quelle zone dove non si poteva scrutare
con il semplice ausilio di uno dei loro strumenti, mi sentivo definitivamente
cambiato, e quel fulcro sul quale il mio equilibrio aveva sempre trovato la
maniera per essere vivo, efficace, presente, completamente perduto, come la mia
identità che da allora non avrei più saputo qual’era.
Bruno Magnolfi
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