In azienda, per tutto il
giorno di lavoro, si sentiva giungere dalla zona esterna il ronzio dei
compressori d’aria che ogni pochi minuti si avviavano e si fermavano tramite
dei relè automatici. Ognuno di lavoranti operava solo nel proprio piccolo
laboratorio a cui era assegnato, con le pareti di vetro e attrezzato di tutto,
tutti gli utensili possibili per la lavorazione dell’oro, dell’acciaio e delle
pietre, per il resto andavano avanti tutto il giorno, spesso in orario
straordinario, rispettando solo una piccola pausa ad ogni ora, ed un’ora intera
per il pranzo. Erano in trenta là dentro, ragazzi e ragazze dai venti ai
trent’anni, ma ognuno viveva nel chiuso della propria produzione decisa ogni
mattina dal loro capo, e Arianna da un po’ di tempo aveva iniziato a soffrire
di quei rumori di sottofondo che superavano facilmente i vetri del suo
laboratorio. Durante le pause cercava di respirare uscendo da là dentro,
assieme agli altri, ma oramai anche i discorsi dei suoi colleghi erano
diventati esasperanti, sempre i soliti, sempre con quei toni monocordi, come
ronzii anche quelli. La verità è che lei aveva sempre più bisogno di silenzio,
non riusciva a sopportare tutto quel rumore, ogni tanto guardava gli altri
oltre le vetrate e le pareva impossibile che solo lei fosse diventata così
ipersensibile. Aveva provato a portarsi della musica distensiva, da ascoltare
con le cuffie, ma le cose non erano migliorate. Arianna sapeva che quella sua
sensibilità al rumore sarebbe diventata per lei sempre più un problema. Non
riusciva a concentrarsi sul lavoro, ed anche se la produzione era diventata
sempre più bigiotteria, per via del mercato che pareva non andare, però i
lavori finiti dovevano essere perfetti, il capo controllava tutto, e lei
continuava a fare degli errori, a impiegare troppo tempo, a lavorare male. Non
poteva lasciare che il capo se ne accorgesse, doveva stare attenta, non si
poteva certo permettere di perdere quel lavoro, doveva resistere, e così ogni
giorno cercava di dimenticare i suoi problemi, cercava di pensare ad altro, di
farsi forza, di ripartire in qualche modo. Poi arrivò il giorno peggiore. Lei
era nervosa, fin dal mattino le sbatteva una palpebra di un occhio senza
volerlo, e solo il soffio del suo microsaldatore le pareva un rumore
assordante. Continuava ad incastonare dei vetri sfaccettati in una serie di
anelli, tutti simili, compiendo i medesimi gesti che però andavano effettuati
con una precisione massima. Si alzò dal suo sgabello di lavoro, ad un tratto,
senza neanche spegnere il motore del suo portautensili; uscì dal suo
laboratorio e percorse il corridoio, in fondo c’era l’ufficio del capo. Arianna
aprì la porta e lui alzò lo sguardo dal computer. “Deve spegnere i
compressori”, disse in un fiato con tutta la decisione che riuscì a trovare. Lui
si tolse gli occhiali senza parlare, la osservò, poi disse: “La prossima
settimana vengono gli operai a sostituirli con una macchina silenziata di nuova
concezione, non avremo più questo noiosissimo rumore di fondo”.
Bruno Magnolfi
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