venerdì 3 luglio 2009

La ricerca del silenzio.



            In azienda, per tutto il giorno di lavoro, si sentiva giungere dalla zona esterna il ronzio dei compressori d’aria che ogni pochi minuti si avviavano e si fermavano tramite dei relè automatici. Ognuno di lavoranti operava solo nel proprio piccolo laboratorio a cui era assegnato, con le pareti di vetro e attrezzato di tutto, tutti gli utensili possibili per la lavorazione dell’oro, dell’acciaio e delle pietre, per il resto andavano avanti tutto il giorno, spesso in orario straordinario, rispettando solo una piccola pausa ad ogni ora, ed un’ora intera per il pranzo. Erano in trenta là dentro, ragazzi e ragazze dai venti ai trent’anni, ma ognuno viveva nel chiuso della propria produzione decisa ogni mattina dal loro capo, e Arianna da un po’ di tempo aveva iniziato a soffrire di quei rumori di sottofondo che superavano facilmente i vetri del suo laboratorio. Durante le pause cercava di respirare uscendo da là dentro, assieme agli altri, ma oramai anche i discorsi dei suoi colleghi erano diventati esasperanti, sempre i soliti, sempre con quei toni monocordi, come ronzii anche quelli. La verità è che lei aveva sempre più bisogno di silenzio, non riusciva a sopportare tutto quel rumore, ogni tanto guardava gli altri oltre le vetrate e le pareva impossibile che solo lei fosse diventata così ipersensibile. Aveva provato a portarsi della musica distensiva, da ascoltare con le cuffie, ma le cose non erano migliorate. Arianna sapeva che quella sua sensibilità al rumore sarebbe diventata per lei sempre più un problema. Non riusciva a concentrarsi sul lavoro, ed anche se la produzione era diventata sempre più bigiotteria, per via del mercato che pareva non andare, però i lavori finiti dovevano essere perfetti, il capo controllava tutto, e lei continuava a fare degli errori, a impiegare troppo tempo, a lavorare male. Non poteva lasciare che il capo se ne accorgesse, doveva stare attenta, non si poteva certo permettere di perdere quel lavoro, doveva resistere, e così ogni giorno cercava di dimenticare i suoi problemi, cercava di pensare ad altro, di farsi forza, di ripartire in qualche modo. Poi arrivò il giorno peggiore. Lei era nervosa, fin dal mattino le sbatteva una palpebra di un occhio senza volerlo, e solo il soffio del suo microsaldatore le pareva un rumore assordante. Continuava ad incastonare dei vetri sfaccettati in una serie di anelli, tutti simili, compiendo i medesimi gesti che però andavano effettuati con una precisione massima. Si alzò dal suo sgabello di lavoro, ad un tratto, senza neanche spegnere il motore del suo portautensili; uscì dal suo laboratorio e percorse il corridoio, in fondo c’era l’ufficio del capo. Arianna aprì la porta e lui alzò lo sguardo dal computer. “Deve spegnere i compressori”, disse in un fiato con tutta la decisione che riuscì a trovare. Lui si tolse gli occhiali senza parlare, la osservò, poi disse: “La prossima settimana vengono gli operai a sostituirli con una macchina silenziata di nuova concezione, non avremo più questo noiosissimo rumore di fondo”.


Bruno Magnolfi 

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